Gli Ophidian I vengono dall’Islanda e come già in passato la dimostrazione che non di debba giudicare il libro dalla copertina è in questo loro “Desolate”. Avrei scommesso per del black metal o del folk metal, per provenienza geografica e per copertina, ma in questo caso avrei preso una poderosa cantonata. Loro fanno technical death.
La loro scelta è di piazzare una mitragliatrice sulle chitarre e sparare scale ed assoli a perdifiato, supportati da una batteria al fulmicotone.
Un basso che obbligatoriamente tiene le fila di questa devastazione sonora ed una voce che va oltre il gutturale.
A volte penso che non siano umani per quello che propongono e come lo propongono. Assolutamente distruttivi sotto ogni aspetto.
Strutture assolutamente complesse ed allo stesso tempo devastanti. Non vi sono momenti in cui le “peripezie” del combo islandese possano risultare noiose, fini a se stesse o troppo manieristiche.
Aggiungiamoci che questo è il loro secondo album e che l’esser “spariti dai radar” dal 2014 ad oggi ha iovato loro non poco. In questo caso il fatto di aver atteso a far uscire un nuovo lavoro, ma solo quando il livello di qualità e di distruzione sonora era “al punto giusto” la band ha deciso di farsi vedere e sentire nuovamente.
Una nota di merito va al cantante che riesce a destreggiarsi in modo ottimale su dei costrutti sonori non semplici e tortuosi per quello che riguarda la voce. Ovviamente il growl così profondo ed ancestrale non è una novità ma, ripeto, riuscire a fare un lavoro del genere su dei pentagrammi come quelli di questo lavoro non è da poco.
Lavoro in studio di registrazione devastante, tutti gli strumenti hanno il proprio spazio, le loro dinamiche ed i loro “animi” senza perder per la strada nulla e senza dover fare delle scelte trancianti o raffazzonate. Unico neo, ma è un discorso puramente di piacere personale, avrei gradito un suono leggermente meno “medioso” delle chitarre, ma siamo nel piacere personale e non in un discorso di “errore”.
Inoltre la band riesce a stare nelle combinata rara del “violenza sonora, BPM altissimi e tecnica”. Perché direte voi rara?! Perché quel trio insieme solo poche volte da un risultato ottimo, spesso o si perdono le vaire parti tecniche, oppure si percepisce il rallentamento o peggio si arriva al “pastone” dei suoni.
Andando a prendere le parti più evocative ed emozionalmente intense vi direi: “Diamonds” la opener, “Captive infinity” che ha un intro in chitarra acustica molto bello, “Jupiter”, “Wither on the vine” che chiude l’album e “Spiral to oblivion”. Va ammesso che è stato difficile trovare le “migliori” dato che questo album si fa ascoltare più e più volte dall’inizio alla fine. Veramente speciale.
A concludere questa mia disamina abbbiamo un lavoro di parecchio sopra le righe e sopra il livello medio non sono del death metal ma del technical death e del “prog estremo” in generale. Vi dico senza mezzi termini che questo è un lavoro veramente ottimo sotto ogni aspetto, da avere sia che siate fan del death, che siate fan delle forme più aperte del tecnicismo e delle tecniche musicali. Semplicemente un album speciale.
Voto: 8.5/10
Alessandro Schümperlin