A pochi mesi dall’uscita di “Circus Of Doom Live In Helsinki 2023”, i Battle Beast tornano sul mercato con il loro settimo album in studio, “Steelbound”, pubblicato a tre anni di distanza dal precedente “Circus of Doom”.
Devo ammettere che né il titolo né la copertina (che mi ricorda quella di “Heart of Steel “ degli At Vance) mi avevano colpito particolarmente (prima di poter ascoltare l’album), soprattutto se messi a confronto con quelli del disco precedente, che riuscivano a stimolare la curiosità grazie a un titolo affascinante e a un artwork davvero riuscito (ripreso anche nel live pubblicato di recente).
Purtroppo, le aspettative iniziali sono state confermate dopo diversi ascolti: “Steelbound” è un album piacevole, ben suonato e godibile, ma privo di quel guizzo capace di renderlo davvero memorabile. Le idee sembrano un po’ risicate, e lo si percepisce anche dallo scarso minutaggio — appena 38 minuti — che lascia intuire come, a tre anni di distanza, l’ispirazione non sia stata delle migliori, soprattutto se rapportata agli ultimi due lavori in studio.
Resta comunque intatto uno dei punti di forza indiscussi della band finlandese: la splendida voce di Noora Louhimo, potente, carismatica e autentico valore aggiunto del gruppo.
Il disco parte deciso con “The Burning Within”, spinta da una doppia cassa incalzante: è probabilmente il brano più veloce e più “power” dell’intero album. Tra le tracce più interessanti spicca “Twilight Cabaret”, un brano davvero particolare in cui si alternano passaggi dal sapore caraibico ad altri più jazzati. Ricorda, per impostazione e ritmo, “No More Hollywood Endings”, pur senza avere lo stesso mordente nel ritornello; a livello musicale, però, risulta una traccia originale e al tempo stesso sperimentale.
Un altro episodio degno di nota è “Blood Of Heroes”, che si muove su territori celtici, con un’epicità che richiama i Rhapsody (of Fire) dei tempi di “Legendary Tales”. È una delle composizioni più fresche del disco, soprattutto in termini di songwriting.
In “Angel Of Midnight” si avvertono invece reminiscenze del classico hard rock anni ’80, con un sound che richiama i Bon Jovi e un tiro davvero efficace. Tra i brani migliori in assoluto va citata la conclusiva “Watch The Sky Fall”, probabilmente la più riuscita dell’intero lavoro.
Nel complesso, “Steelbound “ mescola influenze hard rock e pop, grazie a un ampio uso di sintetizzatori e a melodie decisamente orecchiabili. Non si può certo parlare di un passo falso, per carità, ma ci si sarebbe potuti aspettare uno sforzo in più: non tanto sul minutaggio (meglio un disco più snello che pieno di filler), quanto sul piano della qualità compositiva, alla ricerca di quelle melodie che hanno reso celebre la band.
Mancano, in effetti, quelle linee vocali, quei refrain catchy ma al tempo stesso emozionanti che caratterizzavano brani come “No More Hollywood Endings” o “Circus of Doom” (capaci di far venire i brividi grazie all’interpretazione di Noora), o la stessa “Eden”.
Sperando che il prossimo lavoro segni un ritorno a quei livelli di ispirazione, “Steelbound” resta comunque un album più che dignitoso, ben prodotto e piacevole da ascoltare.
Voto: 7/10
Stefano Gazzola