Questa è una recensione da 5 capitoli, ovvero dal volume 1 al volume 5; sono 5 live differenti di band differenti, accomunate dalla psichedelia e dall’aver deciso di suonare in mezzo al deserto. Ma spieghiamo meglio: Alla fine del 2020, quando il progetto è stato annunciato “Live in the Mojave Desert” sembrava parecchio ambizioso.
Una serie di cinque live stream esclusivi, che prendono le band, che tratteremo volume per volume, e le fanno uscire nei deserti californiani, lontani dalla tecnologia, se escludiamo i droni che riprendevano e per registrare i live set di Giant Rock. La serie è stata portata a termine con successo, il che è stato impressionante di per sé, ed ha fissato uno standard più alto in questa era di streaming. L’intenzione era quella di un film-concerto, e il risultato è molto interessante.
Heavy Psych Sounds e la neonata Giant Rock Records (guidata dal regista della serie Ryan Jones) hanno supervisionato le stampe fisiche dei set come album dal vivo, prendendo l’audio catturato da Dan Joeright dei Gatos Trail Studio a Joshua Tree con il missaggio di Matt Lynch al Mysterious Mammal e altri. Risultato molto interessante in un periodo storico piuttosto pessimo.
Ma entriamo nel merito: Il primo capitolo di questa serie di cinque è per mano degli Earthless che aprono con “Violence of the red sea” brano di quasi 17 minuti, seguito da “Sonic player” altro brano bello lungo, ben ventuno minuti, e che si conclude con “Lost in the cold sun” quasi quaranta minuti per questo ultimo brano.
Cosa dire?! Beh siamo di fronte ad un lavoro che va oltre le normali formule di mercato. Abbiamo tra le mani un lavoro che fa riecheggiare il sapore di una ricercatezza particolare del suono, delle composizioni e dell’uso delle pause e di risoluzioni liquide. Ovviamente se siete della serie “musica usa e getta” e/o “hit del momento e via pedalare” direi questo non è un lavoro per voi.
Gli Earthless fanno un lavoro veramente devastante. Poche note, ben incastonate, ben calcolate e suonate non solo al momento giusto, ma persino con lo spirito sonoro giusto. Il trittico basso, chitarra e batteria va oltre ogni scibile.
Dimostrazione del “Less is more” funziona.
Le capacità di questo trio sono oltremodo superbe: ritmi ipnotici, assoli sornioni ed estremamente blueseggianti sono accomunati da un basso che si prende il suo spazio e rende il tutto ancor più carico di pathos.
Nulla da eccepire sulle scelte di post produzione e di missaggio. Ottime scelte su tutti i fronti, che permettono un ascolto molto intenso e variegato.
Consigliatissimo questo volume uno per gli appassionati del rock psichedelico, e strumentale, anni settanta. Resta inteso che il tutto va visto nella sua completezza con gli altri quattro capitoli di quest’opera mastodontica.
Voto: 8/10
Alessandro Schümperlin
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