“The dark river of soul” è il secondo lavoro dei veneti Moonrise, i quali purtroppo per loro non risultano molto prolifici, siamo a due album a poco più di dieci anni dal primo. Il debutto, sempre per Punishment18 come questo lavoro, dal titolo “Under the flight of crows” è del 2011.
Certo va ammesso che vi sono stati alcuni cambi di lineup che non hanno favorito la stesura in modo lineare del nuovo materiale, ma forse valeva la pena far usicre del materiale intermedio… Ad esempio uno o due singoli. Questo perché in questo periodo storico di “mercato fagocitatore” di novità e di materiale assortito, un album ha una durata, purtroppo, che rasenta a malapena i due anni se non è “Pietra miliare” del genere o se non è “acchiappa like” ed “acchiappa ascolti”.
Detto questo la scelta tecnica della band è abbastanza chiara: Death metal di impianto squisitamente scandinavo; le riminiscenze a Dismember, primi Hypocrisy ed Edge of sanity tra i principali ma anche altri è palese. La cosa interessante è la scelta di ispirarsi a questi mostri sacri non ha bloccato la band a dare il proprio apporto di personale ispirazione. Quindi si c’è il rimando e l’ispirazione ma non c’è copiatura.
Le strutture sonore sono quindi riconducibili alle band di cui sopra con una cura dignitosa del suono per quello che compete le batterie. Forse avrei ridotto leggermente le code dei piatti e reso meno “secco” il rullante. Detto questo, le chitarre sono “ben affilate” e suonano bene sia sul riffing veloce e tirato tanto sulle parti rallentate.
C’è un piccolo problema di volumi che in alcuni punti le chitarre sembrano un pelo sacrificate rispetto alla batteria ed alla voce.
Il basso in alcuni punti si percepisce meno, ma rispetto allo standard si sente “bene”.
In complessivo alcune scelte di “campo” a livello tecnico sarebbe stato meglio gestirle in altro modo.
La voce è un mix tra il growl ed il mezzo scream non male e rende molto bene il senso di disagio e di rabbia che la band trasmette nei brani.
Dispiace che i presupposti e le potenzialità ci sono, manca solo l’incisività, vuoi per le scelte dei volumi e di equalizzazione e vuoi per certe scelte di composizione, e certe “cure” per salire di “livello”.
“The dark river of soul” si rivela quindi un lavoro interessante; sicuramente ottimale per i deathster più affezionati al vecchio sound. Purtroppo come indicato sopra manca di un quid che possa far fare un salto di qualità sia alla band, per farla ricordare e non restare nel calderone del “bravi ma …”, che all’album stesso.
Certamente la band ha delle capacità, e nemmeno poche, ma sono non così esposte e ben visibili come si dovrebbe. Speriamo che il prossimo lavoro arriverà a breve, e non tra dieci anni, e che riesca a dare una marcia in più alla band ed alla sua carriera.
Voto: 7/10
Alessandro Schümperlin