Arriva dall’Italia, grazie alla benemerita Black Widow Records e dal lavoro del giornalista Giancarlo Bolther che ne è stato il produttore esecutivo, oltre che ideatore, un tributo veramente speciale per un gruppo che possiamo definire sia come seminale per molte bands, ma, soprattutto, decisamente innovativo e con grandi idee.
Sto parlando dei Blue Oyster Cult, gruppo americano in pista da oltre 50 anni, che ha navigato attraverso i mari dell’hard rock e dell’heavy metal portando sempre una vena di personalità e un suono molto riconoscibile.
Questo doppio cd, dalla ottima qualità artistica e sonora, riproduce, talvolta molto fedelmente e in altri casi con delle divagazioni piuttosto sostanziali, una buona parte della loro carriera, sostanzialmente quella iniziale.
Infatti, se devo trovare un elemento che avrei voluto fosse stato sviluppato meglio, sono stati ignorati tre albums come “Imaginos” “Revolution by night” e, soprattutto, “Club Ninja” che hanno rappresentato a mio avviso una grande evoluzione della band e che meritavano una citazione, ma capisco anche che il materiale dal quale attingere era vastissimo e privilegiare la produzione anni 70 e 80 ha certamente un senso storiografico-musicale.
Sono ben 29 le bands, alcune straniere ma la maggior parte italiane, chiamate a partecipare a questo tributo “The dark side of the cult” che, come dicevo, alla fine è veramente gradevole e brillante.
Diciamo che possiamo suddividere le bands presenti nei due cd dell’opera in tre parti : quelli che hanno mantenuto suoni e arrangiamenti molto aderenti al brano che hanno interpretato, quelli che hanno voluto darne una propria versione e quelli con voci femminili.
Fra quelle che hanno cercato la fedeltà al brano, oltre al fondatore Albert Bouchard che si presta all’operazione con una “Baby ice dog” molto bella, spiccano gli inglesi Transmaniacon, che hanno preso il nome dalla prima canzone del primo album dei Blue Oyster Cult, i Death SS con una versione graffiante di “Godzilla” e Freddy Delirio and the Phantoms con una “Black Blade” decisamente spaziale, cromata e gradevole , gli Specters Dead Dream “Cities on flames” e L’Impero delle Ombre con “She’s a beautiful like a foot”.
Poi ci sono le elaborazioni personali, alcune più riuscite di altre, fermo restando l’alto livello esecutivo di tutte le bands, che hanno tutte messo in evidenza le atmosfere chitarristiche e i vari passaggi strumentali che caratterizzano la produzione del gruppo americano. Ecco allora una versione stoner di “The red and the black” degli Humulus, il gothic-rock scelto da Epitaph per proporre “ Wings wetted down”, l’ottima orchestrazione dei Bretus per “Career of evil”, la versione rock’n’roll dei Bullfrog per “Dominance and submission”, il flauto che fa da contrappunto per i Witchwood in “Flaming telepaths”, l’elettronica che stravolge il primo grande successo dei Blue Oyster Cult “Don’t fear the reaper” a opera dei “The Forty days”, il funky che viene inserito nella versione dei Poobah di Godzilla, la velocità che modifica la bellissima “Burnin’ for you”, la rielaborazione di Jacopo Meille e i suoi Blue Machine di “Sole survivor” in chiave semiacustica e gli Smed che stravolgono “Heavy Metal” dalla colonna sonora del film di animazione che ha caratterizzato i primi anni 80, i fiati inseriti dai Runaway Totem per “The Alchemist” che diventa quasi acid jazz e comunque lontana dalla concezione rock originale.
Una parola per i gruppi che utilizzano voci femminili. Senza assolutamente passare per misogino, mi sembra che non si adattino bene alla produzione dei Blue Oyster Cult. Come i Presence, nella versione gothic-rock di “Before a kiss, a redcap”, oppure in “Astronomy”. Una sensazione, nient’altro.
Voto: 8/10
Massimiliano Paluzzi