Partiamo da una premessa che è d’obbligo (e spero di non offendere nessuno): il metallaro “tipo” ha i paraocchi come i cavalli (specie quelli nostrani), ed è facile che impazzisca ascoltando band inutili che scopiazzano a destra e a sinistra. Band che si travestono come fosse Carnevale, in stile “Signore degli Anelli” e affini.
Bene, questi signori non saranno in grado di apprezzare lo spessore di un disco come “Next in Line”, così come non lo erano stati in occasione del debut album degli Holler, che era vittima di pregiudizi e si prendeva (erroneamente) come base di partenza la lunga militanza di Terence negli Eldritch.
Questo nuovo disco riesce a confermare quanto di buono fatto con l’esordio; anzi, per certi versi riesce persino a far meglio, nel senso che è maggiormente incentrato sulla chitarra, ha un sound più “duro” — ma non è un disco metal ! E nemmeno vuole esserlo, attenzione !
La linea guida è ben definita e prende come riferimento gli anni d’oro dei Bon Jovi, strizzando l’ occhio a più riprese anche a Bryan Adams.
Si parte con “A Miracle”, il cui inizio di chitarra e tastiere mi ricorda i primi Talisman di Jeff Scott Soto: un mix tra l’A.O.R. scandinavo e l’hard rock americano, davvero un’ ottima partenza !
La successiva “Stormy” suona molto “ottantiana” e radiofonica, stilisticamente più affine al disco d’esordio, che era meno chitarra-centrico.
A sorpresa troviamo il brano di SIA “Chandelier”, rivisto in chiave Deep Purple, con ottimi arrangiamenti. Forse avrei preferito collocarlo in chiusura di disco e non come terza traccia, ma è un peccato veniale e alquanto trascurabile.
“Don’t Fool Me” è uno dei pezzi migliori del disco, anche grazie a un refrain davvero irresistibile, coadiuvato da quel tocco progressive che viene esaltato durante l’assolo di tastiera e chitarra.
È il turno della prima ballad, “The Ocean”, molto bella, profonda ed emozionante, che surclassa Julia, presente nel primo disco degli Holler. Le linee vocali sono splendide e la prestazione di Terence è da spellarsi le mani a forza di applausi: riesce a far venire la pelle d’oca per come interpreta il brano. Ottimo anche il suo acuto, e da segnalare la presenza della seconda voce di Luca Fuligni (chitarista ritmico) che aggiunge pathos e intensità a questa traccia “capolavoro”.
“24 Seven” è un brano piacevole, molto melodico e radiofonico, con ottime trame di pianoforte e passaggi jazzati che arricchiscono la struttura del pezzo.
“Crystal Eyes” rappresenta forse il brano più “duro” del disco: le ritmiche sono serrate, si viaggia veloci. Questa composizione mi ricorda gli L.A. Guns di “Cocked & Loaded”, un pezzo “sporco” e stradaiolo che sembra essere nato nei sobborghi di Los Angeles, e non in quel di Rosignano. Strepitoso anche il solo di chitarra, davvero una piacevole sorpresa.
“Trust”, a livello stilistico, segue la traccia posta in apertura, ma vanta un refrain molto più impattante. Altro pezzo che si colloca sul gradino più alto della tracklist. Anche qui, davvero ottima la performance vocale di Terence (come in tutto il disco, in realtà), con acuti di “livello” e un altro mirabolante assolo di chitarra-tastiera. Brano ideale da cantare in sede live.
È il turno della seconda ballad del platter, “Away”: piacevole, ma non riesce a raggiungere i picchi di intensità emotiva toccati in “The Ocean”.
“The Leader”, titolo che calza a pennello per il buon Terence (che è un vero leader), richiama i Bon Jovi dei primissimi album. Ottimo il drumming della new entry Alex Lera ; anche in questo brano si colgono sprazzi di progressive rock alla Genesis.
Il disco si chiude con la terza ballad, intitolata “The Perfect Place”, su cui possiamo applicare lo stesso algoritmo di valutazione usato per “Away”.
Che dire: poteva esserci il rischio di ripetersi, visto il pochissimo tempo passato dal disco di debutto. Invece, il songwriting risulta sempre fresco e ispirato — cosa per niente facile.
Tutti i brani sono opera del tastierista Matteo Chimenti, che ha composto la musica, e di Terence, che ha scritto i testi. Molto suggestivo l’artwork che rappresenta una figura femminile — una presenza ricorrente, ormai quasi un chiodo fisso per il buon Terence 🙂 — mentre cammina su una scacchiera.
Chissà se nel terzo disco (perché sono sicuro che ci sarà, visti gli ottimi risultati dei primi due), il buon Terence non vorrà sorprenderci e deliziarci irrobustendo ulteriormente il sound.
Gli Holler sono una piacevole realtà musicale. A chi non ha ancora avuto il piacere di ascoltarli… beh, non sa davvero cosa si perde! Continuate pure con le solite band-fotocopia, prive di anima e idee… io intanto mi godo questa piccola gemma nel mio lettore cd.
Voto: 9/10
Stefano Gazzola