I Volbeat sono di nuovo tra noi dopo circa due anni di “silenzio”. L’album “Rewind, Reply, Rebound” del 2019 e la versione “live” non particolarmente funzionale (la recensione del live la trovate qui ) non si erano più sentiti.
Sinceramente speravo, e sono stato ascoltato, in un lavoro più azzeccato del live, che seppur passabile era, e rimane, parecchio sotto tono rispetto al loro normale prodotto.
Effettivamente la band danese con questo fa la sua parte; fermo restando che fa qualche scivolone lo piglia e allo stesso tempo fa qualche uscita in “easy listening” che aiuta la band a far presa sui nuovi ascoltatori e a far passare più sovente il singolo “acchiappone” via radio.
Sia chiaro, rispetto alle dichiarazioni della band che si sarebbero rifatti a sonorità più pesanti, devo dire che loro ci provano, ma non siamo ai “fasti priapei” dei primissimi album e non basta inserire qua e là un pianoforte ed un sax; come non basta fare un duetto con una voce femminile. Ci sono dei tentativi timidi di fare un brano in stile Entombed e di tributare a LG Petrov un pensiero, ma si riduce tutto al semplice intro e poco più(a mio avviso uno degli scivoloni di cui vi ho fatto menzione poco sopra.
La canzone in coppia con Stine Bransen, cantante danese è invece un esempio del “singolone acchiappone” che vi scrivevo poco sopra; non è brutto, è un rock piuttosto leggero e particolarmente radio oriented. Sicuramente fa bene alla band per gli ascolti, ma nel complessivo ed al netto di tutto non cambia di molto.
Strutturalmente la situazione è la seguente: Il Volbeat dei primi momenti non torneranno e la svolta melodic-catchy-rock è abbastanza palese. Da un lato dispiace, dall’altra sembra di sentire project 1950 dei Mistfits ma con canzoni inedite e non dei classici degli anni ’50. Un bene? Un male? non so… Sono abbastanza combattuto, perché a conti fatti il lavoro è nel suo complesso interessante e con produzione ovviamente stellare, ma resta sempre un pochino l’amaro in bocca di quello che poteva essere e di che cosa erano in grado di fare all’inizio rispetto a questa svolta “easy listening” esasperata.
Dei tredici brani che compone questo album direi che abbiamo: “Temple of ekur”(opener), “Say no more”, “Becoming” (il tributo a Petrov di cui sopra). Poi pezzi più radio oriented come “Wait a minute my girl” la traccia con sax e pianoforte, “Dagen Før”, quest’ultima è la traccia in duetto con Stine Bramsen, immancabile brano rockabilly “The devil rages on”, e la particolare “Lasse’s Birgitta” brano da oltre sette minuti (ispirato, dice la band, alla caccia alle streghe in Svezia nel 1471).
Concludendo non mi pare che gli ultimi tre album della band abbiano qualche variabile o qualche novità. Non dico che siano copia e incolla, ma sembrano abbastanza fatti con lo stampino. Spiace, perché la band ha potenzialità già dimostrate in passato di fare molto di più e meglio di così.
Voto: 6.5/10
Alessandro Schümperlin