Warmen band che ha al suo interno, per dirla facendo una perifrasi, Janne Wirman che ha militato ne CoB, ma forse non tutti ricordano del suo progetto parallelo, appunto i Warmen.
Ecco che arriva a noi con un nuovo lavoro, dopo un esordio parecchio in sordina, di 24 anni fa circa, e i tre album successivi che seppur hanno visto diversi ospiti quali: Alexi Laiho, Timo Kotipelto e Kimberly Gross.
Cosa troviamo al suo interno?! Un mix tra materiale prog e virtuosismi assortiti a momenti di leggerezza e quasi di “gioco” tutto confezionato con una forte dose di cover. Questo avviene anche con l’ultimo lavoro “Here for none” in cui troviamo una chicca, anche se non particolarmente riuscita, come cover.
Dopo quasi 10 anni, appunto, dal loro precedente lavoro dal titolo “The first of the five elements”, finanziato con una campagna di crowdfunding, tornano a noi con un nuovo lavoro ed un nuovo cantante titolare: Petri Lindroos (per chi non lo sapesse cantante e chitarrista degli Ensiferum) e l’evidente intento di raccogliere l’eredità, o di scimmiottare se vogliamo esser cattivi, della vecchia band di Janne.
Che dire di queste mosse più o meno ruffiane, più o meno disdicevoli? Ognuno ha la propria idea (me compreso e a sto giro me la tengo per me) ma a livello puramente “tecnico” direi che questa nuova “versione” della band si avvicina molto a quello che fu il passato dei CoB; quindi potrebbe trovare spazio nel cuore dei fans dei Bodom.
Strutture sonore buone, ma non innovative ripeto, il passaggio compositivo si avvicina poderosamente ai CoB, ma come si suol dire: “da un melo non nascono pere” ed essendo Wirman comunque parte compositiva e di arrangiamenti dei Bodom, non è che si scappa da li.
Aggiungiamoci poi che il suono di Wirman alle tastiere è inconfondibile ed è parte del suono riconoscibilissimo della sua band “principale” .
Dei dieci brani presenti nel platter dire che: “The driving force”, “World of pain”, “Night terrors” E “Hells on wheels” sono le migliori tracce. Come accennato c’è la cover che è “Dancing with tears in my eyes” (classicone degli Ultravox) ma risulta non molto riuscita. Direi che è definibile come “bella ma non balla” ed è un peccato.
A conclusione direi che se siete fans dei Children, questo è un lavoro per voi, per il resto… non è un brutto lavoro sia chiaro, dopo tutto ha delle ottime risoluzioni di post produzione, ma non è assolutamente imprescindibile “perderlo”.
Voto: 7/10
Alessandro Schumperlin