Bellissima serata quella che si è svolta nella splendida cornice del Live Music Club di Trezzo. Finalmente ritornano in Italia i The Dead Daisies, band che nell’ultimo decennio ha fatto breccia nel cuore degli amanti della musica hard rock. L’affetto che ci lega a questi ragazzi parte dai tempi degli Whitesnake, quando avemmo l’opportunità di conoscere Doug Aldrich. Da fan diventammo amici e dopo la sua uscita dal gruppo di Mr. Coverdale non avremmo potuto non seguire le sue gesta con i Daisies. In realtà la band ci aveva già colpito nel tour di supporto al “The Purple Album” quando (all’epoca) avevano dato alle stampe “Revolucion” (anno 2015), ma con l’ingresso del biondo chitarrista americano (a nostro parere) la band ha subito la svolta decisiva. In più rispetto all’ultima volta che li abbiamo visti dal vivo (10 dicembre 2022 a Dublino) la formazione è stata nuovamente rivoluzionata. Prima cosa il rientro di John Corabi dietro il microfono e seconda l’ingresso del bravissimo Michael Devin (ex Whitesnake) al basso. In più ad aumentare il coefficiente di interesse la presenza di Spike (l’ex cantante dei Quireboys, anche se bisognerebbe dire “I Quireboys”) in apertura.
La serata sembra non promettere bene in quanto il camion con gli strumenti della band arriva con un ritardo mostruoso a causa di un incidente sulla strada da Villeurbanne (Francia) a Trezzo. Fortunatamente la crew riesce a montare il tutto mentre il pubblico sta già confluendo in sala e l’orario di inizio slitta di poco più di mezz’ora.
A farne le spese sarà Spike, al quale verrà imposto di tagliare la scaletta. In realtà l’alternativa sarebbe stata non suonare e lo stesso cantante (incontrato nella zona fumatori) fino all’ultimo non sapeva se si sarebbe esibito o no. Comunque, armato solo della chitarra acustica e della sua inconfondibile voce, nel poco tempo a sua disposizione, ci ha regalato un’ottima prestazione. A partire dalle due cover di Frankie Miller (“Raining Whiskey” e “Cocaine”), passando tra i brani dei Quireboys come “There She Goes Again” (cantata da tutto il pubblico), “Roses & Rings” e “Have A Drink With Me” il cantante inglese ci guida verso le atmosfere fumose e alcoliche di un malfamato pub albionico. Peccato che sul più bello il tutto finisca e il buon Spike ci debba lasciare sull’accenno di ‘I Don’t Love You Anymore”, promettendo (prima di lasciare il palco e sempre col bicchiere in mano) di ritornare al più presto. Come non si può non amare questo artista.
Set list: 1. Raining Whiskey 2. Roses & Rings 3. There She Goes Again 4. Have A Drink With Me 5. Cocaine
Ma ora è tempo di The Dead Daisies. L’attesa si fa fremente e il folto pubblico accorso non vede l’ora di gustarsi i loro beniamini. Attacco poderoso con “Resurrected”, “Rise Up”, “Dead And Gone” e “Make Some Noise”. I problemi di suoni derivanti dall’impossibilità di effettuare il sound check vengono spazzati via rapidamente (complimenti al fonico) e la sala si può godere appieno la carica dei Daisies. Brian Tichy dietro le pelli è il solito portento. Preciso, potente e scenico. Le sue bacchette sfrecciano ovunque regalando il consueto show. Non da meno la new entry Michael Devin (Coverdale ha fiuto per scovare i musicisti) che ricrea la sezione ritmica degli Whitesnake ai tempi di “Forevemore”. David Lowy (il capo supremo) si prende le luci dei riflettori senza mai strafare mentre Aldrich è il solito fenomeno dietro alla sei corde. Ogni riff, ogni mossa e movimento del Guitar Hero americano è una vera e propria gioia per gli occhi e per le orecchie. Poi c’è Corabi, semplicemente il Singer ideale per i Daisies. Non ce ne voglia Glenn Hughes, che ha mille pregi, ma al quale manca la furia animale e il magnetismo sciamanico che invece John possiede. In un batter d’occhio il pubblico è saldamente nelle sue mani, ma oltre a questo, a livello vocale è autore di una prova sontuosa. Anche nei pezzi di Hughes come “Bustle And Flow”, “Unspoken” e “Born To Fly” il cantante americano raggiunge vette altissime donando una versione più animalesca e meno patinata delle originali. A conti fatti, rispetto alla precedente formazione questa è sicuramente più dinamica, grezza e coinvolgente. La scaletta è lunga, vengono eseguiti pezzi dal primo album (ottima “Miles In Front Of Me”) e da tutta la discografia (compresa “Face I Love” dall’omonimo EP). Non mancano le cover ed è proprio una di queste, “Midnight Moses”, a chiudere prima dei bis. Il pubblico che ha inneggiato i Daisies per tutta la durata del concerto non ne ha mai abbastanza ed al grido “we want more” li richiama sul palco. “Long Way To Go” rinfiamma la folla e una spettacolare versione di “Slide It In” (di chi è lo sapete) cantata dalla coppia Corabi/Devin sembra mettere fine alla serata. Ma dopo pochi istanti i ragazzi riprendono gli strumenti in mano per regalarci l’ultima gioia con “Helter Skelter” dei The Beatles.
Set list: 1. Resurrected 2. Rise Up 3. Dead And Gone 4. Make Some Noise 5. Miles In Front Of Me
6. Face I Love 7. Unspoken 8. Bustle And Flow 9. Drum Solo 10. Something I Said 11. Lock ‘n’ Load 12. Born To Fly 13. Band Introduction 14. With You And I 15. Fortunate Son 16. Mexico 17. Midnight Moses Bis: 18. Long Way To Go 19. Slide It In Bis 2: 20. Helter Skelter
Si chiude quindi in un tripudio di applausi una serata che sembrava essere nata con la luna per traverso ma che invece si è trasformata in una delle più belle del 2023. Ringraziamo quindi il Live Music Club (sempre al top per eventi di questo calibro), la Vertigo Hard Sounds per aver contribuito alla riuscita della kermesse, Spike (per la sua simpatia e disponibilità sotto e sopra il palco) e i The Dead Daisies per la grande performance. Un grazie particolare a Doug Aldrich, musicista eccezionale e persona splendida. Ogni volta che i Daisies passeranno dalle nostre parti saremo sotto il palco a cantare le loro canzoni.