Sette, tanti sono gli anni passati (troppi) dall’ultima fatica discografica degli Stratovarius “Eternal” (non tenendo conto del “best of” e di “Intermission 2”); probabilmente complice la pandemia, abbiamo dovuto attendere un’eternita’ prima di poter ascoltare questo nuovo full leght intitolato “Survive”.
Ne e’ valsa l’attesa ? Sicuramente si ! “Survive” si candida come miglior disco del 2022 e vince a man bassa contro un altro possibile “canditato”, ovvero il nuovo attesissimo album degli Avantasia: un disco con poche idee, molto “commerciale” (a tratti A.o.r.) e che sembra una raccolta di “filler” tratti dai dischi precedenti.
Non lo nascondo, gli Stratovarius sono forse la mia band preferita in assoluto, per lo meno in campo “power”; band che ho scoperto nel 1995 con l’uscita del primo disco con Kotipelto alla voce: “Fourth dimension”.
Mi trovavo a Viareggio, nel negozio del mitico “Klaus Byron” (R.I.P.), fu lui a volermi fare ascoltare a tutti i costi quel disco, che comprai subito con la seguente motivazione: le atmosfere di “We hold the key”, “Lord of the wasteland” e “Twilight symphony” mi ricordavano i due album di Malmsteen con Goran Edman al microfono.
Fu’ l’inizio di un grande amore, da li’ a pochi mesi acquistai tutta la discografia precedente.
Dopo questa “breve” divagazione, e’ ora di tornare al “main theme”, ovvero alla recensione di “Survive”: stilisticamente e’ piu’ vicino ad un album come “Nemesis” piuttosto che al penultimo “Eternal”. I brani che lo compongono sono tutti di ottima fattura (tranne forse la scontata “Firefly”), complice anche un sound potente e moderno.
L’opener “Survive” e’ una traccia frizzante, sulla scia di “Abandon” (traccia che apriva “Nemesis”), ottimo il “potentissimo” riff di chitarra, un autentico “schiaccia-sassi”, che ha poco a che vedere con i riff dell’epoca Tolkki. La traccia e’ moderna, scandita da un ottimo “drumming”, con il cantato a tratti “filtrato” e come “cita” il ritornello “Only the strong will survive”, sancisce quanto questa band sia immortale, che abbia la pellaccia dura, visto che e’ riuscita a sopravvivere a tutte le vicissitudini che hanno portato alla dipartita con Tolkki.
Arriva il turno di “Demand”, una delle tracce piu’ belle del disco (forse la piu’ bella in assoluto), traccia che ci riporta ai tempi di “Destiny”, una sorta di “S.O.S.” rivista in chiave piu’ “moderna”; ritornello “fresco” e dal grande “pathos” emotivo (erano anni che non ne sentivo uno cosi !)
Drumming preciso e tagliente, coadiuvato da “sognanti” parti tastieristiche, costituiscono “anima e corpo” della struttura portante di “Broken”. Anche qui troviamo uno dei ritornelli (specie il secondo “refrain”) piu’ belli e convincenti del disco; strepitoso Matias con il solo di chitarra “orientaleggiante” e malinconico.
Dopo un tris d’apertura da urlo, arriva l’ora della gia’ citata “Firefly”, ovvero una delle tracce piu’ “deboli” e scontate del disco (per via di un ritornello un po’ troppo “catchy”): molto melodica e “diretta” (non che sia brutta intendiamoci…), visto che basta un solo ascolto per averla “impressa” nella mente (ed iniziare a canticchiarla) . Tale immediatezza la rende, dunque, un ottimo cavallo di battaglia in sede live.
In “We are not alone” e’ Mr. Johansson a farla da padrone, riuscendo a disegnare una trama, un tappeto sonoro che addolcisce una traccia di per se’ “malinconica”: si tratta di un ottimo up-tempo, una sorta di “trait d’union” tra il il vecchio e il nuovo corso degli Stratovarius.
L’epica “Frozen in time”, inizia con una melodia che ci proietta in un ambiente “artico” alla “Frozen” (il cartoon della Disney); altro brano tra i migliori del lotto, dove il cantato di Kotipelto risulta molto espressivo (ed unico), a tratti “sofferente”.
Verso il finale, il buon Timo torna a “spingere” in alto, come ai vecchi (bei) tempi: un grido di sofferenza nell’economia della traccia, piu’ che un acuto buttato li’ per caso (e torno a rimarcare la sua “espressivita’” vocale); peccato che si tratti solo di un episodio isolato, certo e’ che questi suoi “acuti” sono unici, da puro “orgasmo” musicale !
“World on fire” e’ una traccia “bombastica” e moderna, sulla falsariga di brani come “Dragons” (per citare un parallelismo con “Nemesis”); buon pezzo, ma che si attesta come quello che mi ha convinto meno, al pari di “Firefly”: non a caso stiamo parlando dei “due singoli”, di brani “immediati” e pronti all’uso, ma che spesso risultano poco “longevi” negli ascolti.
Finalmente i ritmi si alzano, con la prima traccia sparata a mille, doppia cassa a manetta in “Glory days”,un brano che rappresenta un altro tuffo nel passato, anche per via di un ritornello che assomiglia vagamente (forse anche piu’ di un “vagamente”) a “Glory of the world” da “Infinite”.
E’ il turno della power ballad sinfonica “Breakaway”, il brano inizia con il cantato malinconico di “TK “ che mi ricorda quello di “Winter” mischiato a quello di “Celestial dream”, altro brano di notevole spessore, con un Timo primo attore assoluto.
Dopo una piccola pausa, si riprende a viaggiare spediti con “Before the fall”, power-song che nella ritmica rimanda a “Forever free” e “Rise Above It”, strepitoso il duello tra Jens e Matias nell’assolo chitarra – tastiera; traccia epica che diventera’ uno dei nuovi cavalli di battaglia della band.
A chiudere il disco non poteva mancare la classica suite da 10 minuti, dal titolo “Voice of thunder”, la traccia si apre con un “TK” malinconico, artefice di un cantato carico di espressivita’ (alla faccia di chi lo definisce un cantante “freddo”), poi ecco irrompere sulle scene la sezione ritmica “da paura”, dove Matias sfodera un altro riff spaccaossa, abbinato ad un tappeto tastieristico che solo Jens e’ in grado di creare.
Il brano si muove sulla falsariga di “The lost saga”, ma come elemento di novita’, e’ possibile trovare dei cori stile anni 80′ (della stessa tipologia di quelli che troviamo su “Firefly”), ottimo l’intermezzo strumentale con un solo di tastiera dalla chiare influenze “balcaniche”.
In chiusura del brano, troviamo ancora una volta un Kotipelto “sofferente” (grandissima prova la sua), per un finale emozionante, farcito da scenari post-apocalittici alla “Visions”.
“Voice of thunder” chiude in pompa magna un gran bel disco, che dimostra ancora una volta come gli Stratovarius siano gli unici “padroni” del power metal (insieme agli Helloween ad essere onesti), visto che la concorrenza si sta facendo fuori da sola con dischi tutt’altro che convincenti (Sonata Arctica, Avantasia, Edguy, Hammerfall, ecc…).
Possiamo dirlo in maniera convinta che dall’ingresso nella band di Matias Kupiainen, gli Stratovarius non hanno piu’ sbagliato un colpo, riuscendo a tirar fuori dei grandissimi album, uno dopo l’altro; dopo l’omomino “Stratovarius” del 2005, sembravano ormai destinati sul viale del tramonto, invece eccoli qui, piu’ vivi che mai e sempre piu’ convincenti, “Only the strong will survive”…
Voto: 8,5/10
Stefano Gazzola