La carriera di Duff McKagan si commenta da sola e i ben tre Grammy Awards ottenuti sono la testimonianza che il suo lavoro è stato molto apprezzato, specialmente come bassista di uno dei gruppi più acclamati della scena hard rock mondiale, ovvero i Guns’ n Roses, con cui sta ora girando il mondo in questi mesi con un monumentale tour.
Oltre a questo, Duff McKagan è salito alla ribalta per il suo outing rispetto alla sua salute mentale, minata da frequenti attacchi di panico e dipendenze da droghe e alcol per combattere la depressione.
Insomma un soggetto che ha motivi per essere felice, ma non sembra esserlo completamente. Questo potrebbe spiegare almeno in parte questo senso di introspezione triste e malinconica che mi ha lasciato l’ascolto di “Lighthouse”.
Questione di stati d’animo, certo, ma nonostante tutto non sono stato affascinato da queste atmosfere, da questi passaggi molto oscuri che la musica di Duff McKagan mi ha suscitato.
Un disco dalle sonorità più acustiche che altro, che parte con una specie di gospel rock perché la titletrack inizia con chitarra e voce e gradualmente il canto diventa una specie di invocazione, una preghiera. “Longfeather” è un brano già più carico, ma al massimo lo possiamo definire rock’n’roll con una chitarra molto indie e un pianoforte a supporto, così come il seguente “Holy Water”, leggermente più dinamico ma comunque poco graffiante.
Con questo, capisco bene l’obiettivo di Duff McKagan e per certi aspetti ne va ammirato il coraggio di fare qualcosa di diverso da quello che lo ha reso famoso e vincente, in quanto a premi.
Certo, però, che sembra di ascoltare un disco di Bob Dylan o simili e, purtroppo, non è un genere che mi faccia felice quando ci entro in contatto. Con questa avvertenza arriva “I saw God on 10th street” e il paragone con il nobel purtroppo è ancora più attuale, con un finale addirittura sconfinante nel rockabilly.
Non modifica l’assetto “Fallen Down”, una ballata decadente che ricorda certe composizioni di Alice Cooper, con inserti elettrici in un contesto prevalentemente acustico. E’ la riflessione il denominatore comune del lavoro, come testimonia “Forgiven”, altro brano sostanzialmente acustico.
Ancora il rockabilly appare in “Just Another Shakedown”, dove il basso ha un ruolo predominante, immagino suonato dallo stesso Duff, anche se questo non è chiarissimo nelle note molto approfondite per alcuni aspetti, meno per quanto riguarda le notizie su chi suona cosa.
La copertina, diciamolo subito, è orribile e sembra disegnata male appositamente per questo terzo disco solista di Duff, che in “Hope” introduce alcuni passaggi psichedelici , con l’aiuto, alla chitarra del suo compagno di avventure Slash.
Il chitarrista con la tuba non è l’unico ospite d’eccezione del disco: in “I Just don’t know” c’è l’amico Jerry Cantrell degli Alice in Chains, in una ballata che nel finale sciorina addirittura degli archi, e nella finale “Lighthouse Reprise” Duff McKagan duetta con Iggy Pop.
Pur riconoscendo i presupposti che hanno ispirato il disco, “Lighthouse” non mi è piaciuto. Probabilmente è colpa mia, anzi sicuramente lo è, ma preferisco ascoltare altro.
Voto: 6/10
Massimiliano Paluzzi
















