I Dragonforce o si amano alla follia o si detestano senza mezzi termini. Noi ci schieriamo senza ombra di dubbio nella prima categoria. Fin dal loro esordio discografico (“Valley Of The Damned” del 2003) abbiamo sempre seguito la band dei due funambolici chitarristi Herman Li e Sam Totman. La grande ironia, la loro capacità di non prendersi sul serio unite ad una perizia strumentale di primissimo livello gli ha consentito nel corso degli anni di raccogliere sempre maggior consenso tra i metal Kids, nonché di creare un filone intrapreso poi da numerosi gruppi.
Con “Warp Speed Warriors” giungono al traguardo del nono album in poco più di 20 anni di carriera. La formazione rimane la stessa del lavoro precedente con Marc Hudson saldamente alle redini del microfono, il nostro Gee Anzalone dietro le pelli e i due axemen fondatori. Uno cambio l’ingrediente della bella e brava Alicia Vigil al basso. Ma veniamo al disco. Quanto è bella l’opener “Astro Warrior Anthem”! Il perfetto connubio di tutte le peculiarità del sound dei Dragonforce. Cambi di tempo, accelerazioni mostruose, melodia a tonnellate e assolo incrociati velocissimi in pure stile Arcade anni 80. “Power Of The Triforce” non è da meno. Più ruffiana nel suo incedere ma ugualmente trascinante con un refrain che ti si pianta immediatamente nel cervello al primo ascolto. “Kingdom Of Steel” toglie il piede dall’acceleratore ed è la classica power ballad nel loro stile sulla falsa riga di “The Last Dragonborn” dell’album precedente (che però si fa preferire).La successiva “Burning Heart” però dimostra che quando i nostri beniamini decidono di fare quello che sanno fare meglio non ce n’è per nessuno. L’impatto della sezione ritmica è devastante e l’aggiunta di tastiere in stile eighties ne fanno una piccola gemma. L’atmosferico break centrale (che precede il solo) poi ben si incastra nella song. Inutile dire che i due chitarristi sono ancora autori di una prova mostruosa con i Bpm che schizzano impazziti a livelli impressionanti. Simpaticissima “Space Marine Corp” con il suo incedere tipo marcia marziale. Impossibile non ascoltarla senza farsi venire un sorriso stampato sulla faccia. Specialmente nella parte probabilmente ispirata alla canzone presente nel film Full Metal Jacket. Prelude To Darkness è uno strumentale che precede “The Killer Queen”. Quest’ ultima è anch’essa la classica cavalcata nel loro stile e ha come punto di vantaggio un mostruoso groove del basso, i soli stratosferici e un ritornello boombastico. “Doomsday Party” (presente in due versioni delle quali una con la partecipazione di Elize Ryd) vede la sua forza nei cori e colpisce più per le soluzioni melodiche che per la velocità. Anzi quell’ incedere un po’ disco music anni 80 con le tastiere in bella evidenza è senza ombra di dubbio il suo fiore all’occhiello. Non poteva mancare un pezzo come “Pixel Prison” che non aggiunge molto al valore dell’album ma grazie ai suoni sullo stile commodore 64 o Amiga 500 utilizzati, ci strappa l’ennesimo sorriso.
Come con Celine Dion nel precedente lavoro i nostri eroi si cimentano in una cover. “Wildest Dreams” di Taylor Swift. Ed il risultato è sempre meraviglioso. Chiude se aggiungere nulla la versione strumentale di “Power Of The Triforce”.
In definitiva i Dragonforce sfornano l’album che tutti i loro numerosi sostenitori desideravano. Pur non scostandosi dal loro classico stile hanno come di consueto trovato melodie, refrain e passaggi strumentali sempre avvincenti e mai noiosi. In effetti potete ascoltare il disco in loop ed esaltarvi ad ogni ulteriore passaggio. Dragonforce: c’è chi li ama e chi mente!
Voto: 7,5/10
Fabrizio Tasso