Nome storico, quello dei Danger Zone, che hanno fatto parte a pieno titolo della prima ondata dell’heavy metal italiano, che ha preso le mosse all’inizio degli anni 80, con il mitico “Victim of Time”. Come tutte le pochissime uscite dell’epoca, questo EP suscitò grande interesse e tutte le fanzine se ne occuparono. Nel corso degli anni hanno avuto lunghe pause, ma il loro approccio alla musica sembra essere meritoriamente sempre lo stesso.
Venendo alla nuova produzione di inediti, “I like it” è subito un gran pezzo, con un riff molto aggressivo e una struttura da brano cromato di class metal. Del resto, sono finiti in tutte le compilation che contavano all’epoca, ma qui siamo su livelli alti, sia compositivi che espressivi. Si continua su grandi livelli, perché “Evil” ti prende da subito, con il suo hard rock melodico che supera di slancio tante recenti uscite analoghe e che è stata scelta come singolo e video antecedente l’uscita del disco nella sua interezza.
La musica dei Danger Zone è dannatamente diretta e fresca, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, in quanto a provenienza e percorso anche se, alla lunga, soffre di una uniformità compositiva che il gruppo dovrebbe, a mio modesto avviso, fronteggiare, per effettuare un ulteriore salto di qualità.
Tastiere a distesa per “Tell me the truth”, anche se poi è la chitarra a guidare la traccia, anche con sfumature semiacustiche nella conduzione, che denotano anche la voglia di non offrire una versione stereotipata della loro musica.
Tutt’altro che bolliti, i Danger Zone vanno alla grande e il riff di “I don’t care” ha connotazioni glam rock che non guastano, mentre il coro è abbastanza semplice e , per la verità, non particolarmente originale. Come dicevo prima, il livello è alto e la scelta di ricostituirsi dopo il covid, che aveva interrotto l’attività della band, risulta particolarmente azzeccata. Echi dei migliori Magnum in “ Too late” e per me è un gran complimento, per la classe con cui si muovono all’interno dei brani, con grande attenzione alla melodia, senza tralasciare l’aspetto heavy, delegato essenzialmente alla chitarra, molto incisiva anche negli assoli, senza che risultino chilometrici. Su sentieri hard rock classici “I’ll make it right”, con unica pecca linee vocali non particolarmente brillanti.
Tastiere e chitarre sono bene integrate, la sezione ritmica avanza senza problemi, come in “Hurt”, brano movimentato caratterizzato da una ottima linea chitarristica, anche se la ricerca vera è tendente alla melodia, che è la cifra basilare di tutto questo “Shut Up” che segna questo ottimo ritorno sulle scene di questa band assolutamente che snocciola brani validi, come “When you broke my soul”. Altro riff hard piuttosto sostenuto innerva “Faithless ways”, più o meno che la conclusiva “Straight down the line”.
Un disco che è certamente di buon livello, forse, ripeto, sarebbe auspicabile una maggiore varietà compositiva perché, alla lunga, tutti i brani tendono a essere simili, sia pure sempre interessanti. Comunque siamo di fronte a una band che ha ancora molto da dire.
Voto: 7,5/10
Massimiliano Paluzzi