La Svizzera, nonostante le ridotte dimensioni, ha sempre saputo dire la sua in ambito musicale, con classe e tecnica sopraffine e invidiabili. I nomi più altisonanti li troviamo nell’hard rock (Krokus, Gotthard, Shakra, China sono solo alcuni dei nomi più celebri) ma anche il filone metal annovera formazioni di indubbio spessore: tutti noi abbiamo infatti sentito parlare degli Eluveitie ma anche le Burning Witches hanno fatto molto parlare di loro nell’ultimo decennio. La formazione tutta al femminile composta da cinque elementi è autrice di un heavy/power metal di chiaro stampo teutonico ma con richiami alla tradizione britannica. Il nuovo album intitolato “Inquisition” ha un’indole leggermente più scura dei dischi precedenti e si tratta di un concept album non in senso stretto: non tratta infatti un’unica storia che si dipana nel corso delle canzoni, bensì rappresenta l’unione di brani a sè stanti ma accomunate da un argomento comune: l’ipocrisia di alcune frange della Santa Inquisizione, che nel Medioevo hanno abusato del loro potere per compiere crimini contro l’umanità e in particolare contro le donne considerate “streghe”. Il nome stesso della band grida rabbia e ferocia, chiamato in causa in prima persona nelle dodici tracce del disco. I riferimenti sonori sono chiari: si individuano rimandi ai Judas Priest, ai Primal Fear, agli Accept, a Doro e ai meno conosciuti Crystal Viper, ma il tutto è personalizzato da uno stile unico e inconfondibile, che rende le Burning Witches riconoscibili in mezzo agli altri esponenti dell’heavy/power metal.
I dodici brani che compongono “Inquisition” sono potenti, possenti, rabbiosi al punto giusto, escludendo una power ballad che comunque non se ne discosta per via dei testi, in linea con l’argomento generale. Il mio brano preferito del disco è “The Spell of the Skull”: epica e battagliera, spicca particolarmente sul resto che invece preferisce seguire binari già consolidati. Forse è proprio questo l’unico difetto del disco: la poca varietà fra le canzoni comporta che l’album scorra con un po’ di fatica, complice anche la durata non esattamente esigua. Tuttavia si tratta anche di uno dei limiti del genere, che non lascia abbastanza spazio alla sperimentazioni: è musica che rende decisamente di più in sede live, col pubblico che canta a squarciagola e partecipa all’evento come un esercito pronto ad andare in battaglia. Non a caso la cantante del gruppo ha un’estensione vocale strepitosa ma la mette a frutto solo in due momenti dell’album: solitamente preferisce restare sui toni bassi e graffiati, diversamente da come – sono certo – accade dal vivo in cui arrangiamenti alternativi e personalizzazioni degli stessi consentono anche alla voce di dare il massimo.
Concludendo, mi sento di consigliare “Inquisition” a chi mastica heavy/power metal classico a colazione e a chi apprezza le band con la voce femminile ma che è stanco dei virtuosismi lirici, in virtù di una ferocia non indifferenti.
Voto: 7/10
Francesco “Grewon” Sarcinella
















