Dopo 10 anni risorge la creatura del chitarrista Frank Herman, noto per la sua militanza negli Accept e per altri progetti paralleli come i Victory e i Sinner. Proprio i Victory sono lo strumento con il quale l’estroso chitarrista teutonico, che nel corso degli anni ha assunto una importante dimensione artistica come produttore di decine di gruppi, fra i quali nomi di rilievo come Rose Tattoo, tanto per citarne uno, torna a fare musica di grande qualità e spessore.
La band che accompagna Frank Herman appare ben rodata e capace, con la voce di Gianni Pontillo sicuramente da menzionare. Non male però l’altra chitarra di Mike Pesin, il basso di Malte Frederick Burkert e la batteria di Michael Stein.
Mi ricordavo i Victory per il disco “Culture killed the native” che era molto più orientato alla melodia di questo “Gods of tomorrow” che è un prodotto genericamente di hard rock chitarristico, con molte sfumature e un grande sound e un notevole groove che attraversa tutti i brani proposti.
Si comincia subito bene, con “Love & Hate” che trascina l’ascoltatore con una linea chitarristica molto personale e un hard rock molto potente, seguita da un altro brano distintivo dell’operazione rilancio dei Victory, la titletrack, che non risparmia potenza e incisività.
Fanno capolino inaspettate influenze southern con “Out of the bone”, brano che risente di questa stravaganza, mentre il passato melodico di una parte della produzione Victory viene fuori con la notevole “Dying in your arms” una ballata dai toni energici che ha sicuramente una attinenza con la provenienza tedesca di Herman e la tradizione di Scorpions e via dicendo per i lenti molto suggestivi. Si tratta di un brano che se adeguatamente promosso potrebbe interessare una fascia di ascoltatori ben maggiore che quella legata al metal.
Si torna all’hard rock piuttosto convenzionale con “Hold on me”, in un platter che cresce in giri con la successiva “Into the light”, senza fare gridare al miracolo. Il tempo medio di “Mad” vede la chitarra prevalere sulla voce, peraltro interessante, di Gianni Portillo, mentre “Undiconditional love” è un hard rock tendente al melodico. Si accelera con un brano vicino al power metal con “My own desire” che fa ricordare la provenienza Accept di Herman, vista la potenza sprigionata da questo pezzo. Un grande riff caratterizza “On fire”, mentre Il ritornello killer di una delle top songs di questo ottimo lavoro, “Rising force”, se sarà eseguito dal vivo, non farà prigionieri e contrasta con la troppo ruffiana “In rock we trust” che anticipa la conclusiva e più sperimentale “Leave you alone”.
Non so se passeranno altri dieci anni dal prossimo album di Victory, ma di sicuro la band, grazie al suo capitano, ha ancora cartucce da sparare. Intanto godiamoci questo “Gods of tomorrow” che è un disco che non deluderà gli amanti del metal classico.
Voto: 8/10
Massimiliano Paluzzi