Arrivano da Sheffield e sono un gruppo “intercambiabile”, nel senso che nei tre precedenti album si sono alternati diversi musicisti e cantanti. Ora che Nitrate sembrano assomigliare a una band stabile, arrivano ottimi risultati, come dimostra questo disco.
Con “Feel the Heat”, la titletrack, comincia subito alla grande l’ascolto del disco con un pezzo molto groovy, con un ritornello clamoroso e una interpretazione vocale stellare, un hit straordinario con grandi tastiere, oltre a sdoganare definitivamente il campanaccio nell’aor-metal. La band gioca con i cambi di tempo e la line-up che pare assestata promette di diventare un punto di riferimento dell’aor europeo e mondiale. “All the right moves” rallenta un po’ e avvicina i Nitrate a produzioni tipo Niva, Vega ( in comune hanno la produzione di Martin Bros Production) e simili, ovvero una composizione che si muove su un territorio hard rock dalle tinte fortemente melodico, dove la chitarra sostituisce la tastiera della titletrack come strumento dominante.
Dicevo della line up e dei contributi, che sono molteplici nell’ambito del metal melodico inglese e testimoniano di una scena dinamica e aperta che lascia ben sperare per il futuro, ma qui il dato più rilevante è che, per la prima volta, nella carriera dei Nitrate, che ha prodotto 4 album, ce ne sono due consecutivi con lo stesso cantante, Alexander Strandell (Art Nation), autore peraltro di una grande prova.
Una tastiera sognante introduce “Wild in the city”, altro brano hard/aor di grande spessore e si comincia a capire che l’euforia del fondatore, il bassista Nick Hogg, sulla qualità compositiva dell’opera non è di maniera e scontata, ma fondata su una analisi seria del materiale prodotto. Il ritmo è incalzante, come in “Needs a little love”, dove il basso di Hogg trova il giusto spazio, ma la band è in grande forma e anche l’immancabile ballata, “One Kiss (to save my heart)”, è di gran classe. Il suono è maturo, pieno di soluzioni interessanti. Un certo richiamo alle avventure spaziali torna anche in “Live Fast, Die Young” che scorre molto bene. E’ molto deciso il riff che caratterizza “Haven’t time for the headache”, brano hard rock di buona fattura, mentre “Satellite” è un mid-tempo basato sulle tastiere di James Martin, molto orientato all’aor classico stile Bon Jovi, ma non ci sono plagi, come ho letto da qualche parte. La musica dei Nitrate è matura e personale, con qualche perla assoluta, come la titletrack. Molto americana, soprattutto nei cori, “Strike like a hurricane”, seguita da “Big Time”, altro grande brano aor che ripropone il campanaccio sentito all’inizio e che è davvero una curiosità in un disco del genere. Ma Nitrate non sono interessanti solo per questo, perché “Feel the Heat” è davvero un gran disco e loro una band che, assestata la formazione, possono regalare altra ottima musica. La loro quarta opera si chiude con un brano, “Stay” un po’ più malinconico e riflessivo , ma è certamente un momento, perché Nitrate sono una band, Alexander Strandell – voce, Tom Martin e Richard Jacques – chitarre, James Martin – tastiere, Nick Hogg – basso e Alex Cooper – batteria, positiva che catturerà ancora tanti consensi nel prosieguo della loro carriera.
Voto: 8/10
Massimiliano Paluzzi