L’introduzione di “Stundom” ci fa subito entrare nel mood di “Hologram”, disco che si muove in ambito psycho-prog, con passaggi molto complicati e da ascoltare più volte, come “Shapeshifter”, 9 minuti molto impegnativi, sia per chi la deve suonare che per chi la deve ascoltare. Un fraseggio organo-chitarra compone l’ossatura di un brano che muta più volta forma e direzione, con le voci corali a scandirne l’incedere, tipico anni settanta, con assoli lunghi e articolati e una orchestrazione datata, con una batteria molto marziale e alcune dissonanze decisamente “cerebrali”.
Molto psichedelica “Lucid Parasitosis” con una linea vocale che sembra la descrizione di una litania religiosa, con il flauto che si insinua qua e là.
Il gruppo svedese è molto composito : Sebastian alla chitarra, voce, sitar, mellotron, sintetizzatori e percussioni, Alexander Eriksson alla batteria, voce, percussioni, Jon Klintö al basso, voci gutturali, chitarra acustica e Marcus Holmström alle tastiere, Mellotron, Moog, oltre a una serie di altre collaborazioni.
Sono ben 16 i minuti di “Possession”, una lunga suite che chiama in causa tutta la strumentazione disponibile, con una chitarra ricca di effetti settantiani, con wah-wah a bizzeffe, per un brano che è impostato su un tono che definirei drammatico, come certe colonne sonore horror magistralmente interpretate dai Goblin, tanto per fare un nome. Nel fluire della suite, ancora dissonanze spaziali, per un suono molto carico e incalzante. “Zoning Out” è un brano prog-rock più diretto e meno elaborato. Se “10102020” è un intermezzo tipo Carosello, c’è qualcosa di Pink Floyd, citati come influenza dalla band, in “Katla”, brano che si snoda in 14 minuti, con uno sviluppo che abbraccia diversi stili, con delle linee vocali molto teatrali, delle chitarre piuttosto aggressive e anche acide, con passaggi in cui si perde il filo musicale a causa di digressioni accentuate, con incursioni in terreni diversi, come, in questo caso con la musica indiana o comunque molto vicina a essa. E’ chiaro che siamo nel difficile, perché si tratta di pezzi non facilmente comprensibili a un primo ascolto, ma molto suggestivi.
Un carillon introduce “Anhedonia”, altro brano molto evocativo, con voci corali inquietanti, un pianoforte a scandire i vari momenti di quello che sembra essere un viaggio nello spazio, di quelli già più volte tratteggiati dagli Hawkwind. Di melodia non ce n’è molta e quindi l’ascolto si mantiene molto ostico.
Diverso sembra “Vemod”, in virtù di un leggiadro arpeggio e una chitarra delicata, una sezione ritmica sfumata, che producono una sensazione di minore ansietà anche in chi ascolta, in questi sette minuti strumentali, impreziositi da un assolo di flauto lungo e intenso.
La title-track chiude il disco. “Hologram” viene rilasciato nel doppio formato : 2 lp oppure un cd dalla Black Widow Records che continua nella sua meritoria opera di scoperta e assistenza a talenti italiani e non solo. Anche qui la composizione è molto lunga, superando i 9 minuti. In questo caso è la linea vocale, corale, a dirigere il brano, come fosse un racconto in musica. I toni sono sinfonici, poi ci sono sfumature diverse che entrano in azione, dando dinamicità e qualità a questo “Hologram”, con una forte azione del basso, martellante al punto giusto.
Un’opera ambiziosa, molto ricercata, dal non facile ascolto, ma certamente va apprezzato coraggio e intenzioni. Un po’ più di melodia e qualche soluzione più digeribile, non farebbero male.
Voto: 6,5/10
Massimiliano Paluzzi