Se c’è chi si merita a pieno titolo l’appellativo di “ROCKER”, un termine spesso abusato, quello è proprio JC Cinel, un artista dal talento innato ma alimentato e coccolato da una discografia eccellente (quattro album solisti, tre con i Wicked Minds ed uno con la Jimi Barbiani Band), anni ed anni di esibizioni live in tutta Europa ed un lungo soggiorno artistico in quel di Nashville, la culla del blues. Li ha avuto la possibilità di affinare la sua esperienza ed allacciare collaborazioni eccellenti, come quella con Johnny Neel (Allman Brothers Band, Gov’t Mule) che ha anche suonato sul precedente lavoro del nostro, The Light of the New Sun, nell’ormai lontano 2011, un album prevalentemente rock blues, figlio di questa magnifica esperienza. Sette anni fa subentra l’esigenza artistica di cercare nuove strade ed intraprendere, quindi, un nuovo cammino verso sonorità più dure, come le rocce visibili sul bellissimo artwork di Where The River Ends, tra le quali JC dimostra di muoversi con estrema fluidità, proprio come il fiume ivi rappresentato. E’ l’hard rock di matrice anglosassone, quindi, a farla da padrone nel carnet delle influenze udibili lungo tutto l’ascolto del disco, dove comunque non mancano i riferimenti al blues ed al southern dei precedenti lavori. Partiamo subito a carte scoperte: Where The River Ends è un disco bellissimo ed, anche se lungo (più di 68 minuti…), è composto da dodici brani che si lasciano piacevolmente ascoltare nonostante le composizioni, tutte di JC, siano articolate e, addirittura, con riferimenti al prog dei ‘70. Si parte con City Lights, una bella botta a ritmo sostenuto, con grandi chitarre che ci catapultano letteralmente nel centro di una grande metropoli, con le insegne dei locali tutte illuminate, circondati dalla folla e dai rumori. Deep Purple mark II e mark III si fondono in modo armonioso nella successiva Oblivion, con tanto di duello tra chitarra ed Hammond. E’ ancora un riff blackmoriano ad aprire Feel Like Prisoniers, un hard blues dove sale in cattedra la voce di JC, che dimostra tutta la sua esperienza. Splendida la coda finale delle chitarre. Mindmaze è l’intro acustico che sfocia in Red Handed, una ballad che ricorda, con le dovute differenze, quelle dei Maiden sull’omonimo esordio. In Asylum 22 fanno capolino gli Uriah Heep, vuoi per la linea vocale, vuoi per i cori, con un bellissimo crescendo ritmico finale. Atmosfera orientale di stampo zeppeliniano per l’apertura di Burning Flame che, andando avanti, si trasforma in un brano degno dei migliori Whitesnake. How Far We Shine è un pacata, riflessiva , atmosferica, con chitarre acustiche che esaltano le sfumature vocali. Karacal è un pezzo acustico dalle trame esotiche, che fa da apripista a Strangers, un blues delicato, soffusamente notturno, con belle armonie vocali, cori ed una bella quanto improvvisa progressione ritmica, con duello chitarra/tastiere (menzione per Paolo “Apollo” Negri dei Wicked Minds, ospite qui ed altri brani). Thank God I Was Alone e Which Side Are You On sono due brani hard rock a la Bad Company, con gradevoli assoli di chitarra ed armonica… Ma il masterpiece è la bellissima title track posta in chiusura: una vera e propria mini suite che sfiora gli otto minuti, ariosa, sinfonica, con struggenti melodie ed, anche in questo caso, una lunga coda magnificamente chitarristica. Davvero potenti gli arrangiamenti, allo stesso tempo estremamente curati, per un disco avvincente, che ti fa venir voglia di ripremere il tasto play anziché riposizionarlo nello scaffale. Personalmente l’ho ascoltato più volte, sempre carpendo nuovi particolari. Produzione sempre di qualità di Andromeda Relix (…con distribuzione internazionale Black Widow), che questa volta ha davvero un piccolo gioiello tra le mani cui auguriamo tanta tanta fortuna.
Voto: 9/10
Salvatore Mazzarella