Molti, fino da quando sono state diramati i primi comunicati della Frontiers, hanno etichettato l’operazione come l’ennesimo tentativo di riciclaggio per la composizione di questo nuovo gruppo, che ruota intorno alla figura del cantante Wade Black, voce acida che ha animato Leatherwolf, i gloriosi Crimson Glory di Astronomica e Seven Witches ma che, ultimamente, era un po’ scomparso dai radar.
Il prodotto è ben confezionato, con la capacità di Alessandro Del Vecchio alle tastiere e al basso, il campano Mirkko De Maio alla batteria e Martin Jepsen Andersen alla chitarra. La musica proposta è un hard rock melodico, con varie sfumature. Non ci sono novità sconvolgenti, ma il platter scorre e la curiosità di sentire all’opera un personaggio storico come Black, che avevo ammirato in Astronomica dei Crimson Glory aumenta la soglia di attenzione.
La voce di Black sembra risentire dell’usura del tempo, magari sotto forma di alcolici o tabacco, perché è molto più ruvida e acida del passato. Secondo me il cantato potrebbe essere ancora più efficace se Wade Black evitasse di doppiare sistematicamente le ultime vocali di ogni parola. Quando procede liscio, la sua qualità è notevole.
In ogni caso la band è una macchina ben oliata e già l’iniziale “Chalice of Sin” è un grande brano di power metal sinfonico che esalta la tastiera di Del Vecchio e gli assoli scintillanti di Andersen, due elementi musicali che caratterizzano tutto il disco. “Great Escape” presenta qualche venatura epica, mentre la successiva “Whisky” mette a nudo la componente “alcolica” della voce di Black, per un brano che è sicuramente il più vicino al rock’n’roll dell’intera opera.
Echi di Crimson Glory fanno la propria apparizione nel riff portante di “Miracle”, che lascia spazio alla ricerca di groove del brano “Sacred Shine”, uno dei pezzi più riusciti di “Chalice of Sin”.
Tastiere e assoli cromati sono la spina dorsale di “Ashes of the black rose” mentre l’episodio più discutibile è, a mio avviso, “Through the eyes of a child”, brano per certi aspetti progressivo, che ricorda certe composizioni di Savatage pur senza avvicinarsene per quanto riguarda la qualità della composizione. In questo caso, ad affossare il brano, è certamente l’inadeguatezza per certe estensioni della voce di Black.
Si supera questo episodio negativo con “I stand”, un power metal d’impatto che ripropone il valore aggiunto della coppia tastiere-chitarra che interagiscono con grande scelta di tempo, in un tempo medio che conferisce solennità al brano.
“The Show” e “The Fight” sono due brani decenti ma che non aggiungono nulla a quanto ascoltato fino a questi due episodi del disco.
Chissà se Chalice of Sin avranno un futuro, altrimenti davvero ha ragione chi parla di progetto fino a sé stesso.
Voto: 7/10
Massimiliano Paluzzi