Gli Yes sono un gruppo icona, un’istituzione. Loro sono il rock progressivo, insieme a Genesis, King Crimson ed Emerson Lake And Palmer. La loro storia ultracinquantennale ha lasciato album capolavoro, brani memorabili e concerti leggendari. Il loro Yessongs del 1973 è uno dei dischi dal vivo più importanti della grande storia del rock. Fu uno dei primi album tripli dal vivo perché la musica degli Yes si è sempre espressa sulla lunga durata. Sia dei brani che dei concerti, sempre di due ore, due ore e mezza e più. Questo The Royal Affair (Live In Las Vegas) ci restituisce qualcosa dal tour 2019. È un disco singolo, un’ora e un quarto di musica. Quindi probabilmente non si tratta della testimonianza integrale di un concerto della band. Tuttavia pur nella sua parziale stringatezza la scaletta è variegata e ricca di certezze come di sorprese. La formazione attuale comprende Steve Howe alla chitarra, Geoff Downes alle tastiere, Jon Davison alla voce, Billy Sherwood al basso e Alan White alla batteria. Gli Yes sono un gruppo che è passato attraverso svariati avvicendamenti di musicisti, mantenendo però sempre un livello tecnico sopra la media. Parlavamo della scaletta, di sorprese e di certezze. Qui troviamo si dei classici del repertorio Yes ma anche brani un po’ più oscuri e persino alcune cover. Cosa abbastanza insolita per questo gruppo. Si parte proprio con una cover, anche se già registrata in studio cinquant’anni fa dalla band. Si tratta di No Opportunity Necessary, No Experience Needed di Richie Havens, inclusa nel secondo disco degli Yes Time And A Word del 1970.Tempus Fugit da Drama di dieci anni dopo non è esattamente un cavallo di battaglia da concerto. La bella Going For The One e’ la title track dell’album del 1977. I’ve Seen All Good People da The Yes Album del 1971 è un classico universale. Un brano acustico corale che si sviluppa in modo molto emotivo. Un brano che ben rappresenta lo spirito etereo, fiabesco e di armonia con la natura che la musica del gruppo ha sempre avuto. Arrivano i dieci minuti di Siberian Kathru da Close To The Edge del 1972. Un pezzo ipnotico e suggestivo, con tutti gli strumenti in evidenza. In particolare, nella parte finale, la chitarra di Steve Howe ci prende dolcemente per mano. Onward ci riconduce a Tormato del 1978. Un brano dolcemente insinuante e suggestivo. Seguono altre cover illustri. America di Paul Simon viene trattata alla Yes, dilatata a undici minuti e arricchita da pregevoli spunti strumentali. Imagine di John Lennon è un brano icona, trasversale e universale. Per cantarlo si è chiamato un ospite illustre, John Lodge dei Moody Blues. Notevole l’apporto chitarristico di Howe. Il concerto viene concluso da due lunghi brani che non possono mai mancare in ogni concerto della band. Roundabout da Fragile del 1971 è uno splendido esempio della natura progressiva e avventurosa degli Yes. Ritmiche incalzanti, stacchi melodici e preziosità strumentali ci portano lontano. Starship Trooper da The Yes Album da sempre conclude i concerti del combo inglese. Un brano maestoso, imponente, evocativo e coinvolgente. Dodici minuti di magia pura, con quel crescendo finale da fine del mondo che ogni volta ci prende l’anima. Alla fine siamo storditi e ammaliati, per l’ennesima volta. Gli Yes, anche se con formazioni rimaneggiate, restano una splendida realtà . Restano un simbolo dell’età dell’oro del rock. Un’epoca in cui nascevano nuove situazioni, nuovi suoni, nuove emozioni. E quelle emozioni sono ancora qui, vive, presenti e magnetiche.
Voto: 10/10
Silvio Ricci