Una autoproduzione che segna il ritorno di Steve Howe sul mercato discografico con un disco molto intimo, molto rarefatto, che potrà piacere a una fetta del pubblico che segue abitualmente questo eccezionale musicista che ha segnato un’era con Yes e ha comunque caratterizzato anche il sound di Asia.
“Guitarscape” comprende 14 brani molto brevi, con minutaggi ben distanti dalle precedenti opere soliste di Howe, una specie di affreschi sonori che cercano una loro dimensione più sul versante acustico che elettrico.
Con essi Howe si propone al pubblico senza mediazioni, visto che è tutta farina del suo sacco : composizione, esecuzione, con la partecipazione del figlio Dylan alla batteria , produzione e anche pubblicazione, con la Howesound label.
Tutto questo, come chitarrista iconico e straordinario quale è, se lo può permettere e ci trovo uno straordinario parallelo con un altro gigante delle sei corde del prog mondiale : Franco Mussida. Come lui, con “Il pianeta della musica e il viaggio di Iotù”, Howe va alla ricerca di sonorità diverse, anche se manca a “Guitarscape” un gioiello assoluto come “L’oro del suono” che rimane uno dei brani più belli , almeno a livello italiano, degli ultimi anni.
In ogni caso, spunti interessanti ce ne sono, anche se non ci sono brani memorabili, intesi come hit. Un disco che per esempio va messo quando c’è bisogno di rilassarsi, di astrarsi dalle nostre problematiche.
I brani sono brevi e “Hail Storm” coniuga una tastiera moderna che detta il tempo a una chitarra molto spaziale, mentre “Spring Board” propone un tema binario fra suoni che si intrecciano fra loro e “Distillations” ha la forma di una riuscita clip pubblicitaria, dai toni positivi e accattivanti, con una chitarra che è prevalentemente semiacustica, come nella maggior parte delle 14 composizioni di “Guitarscape”. Pare descrivere un paesaggio nebbioso “Up Stream”, mentre “Secret Mission” è il brano forse più simile alla produzione consueta di Howe, quella prog, anche per la relativa lunghezza. Una lunga fase arpeggiata è la base di “Passing thoughts” e ne rende bene l’idea, di quando la mente è presa da pensieri passeggeri. “Touch the surface” è orientata sulle tastiere, con suoni filtrati di chitarra. Ricorre il termine Spring, presente in tre brani che hanno una soluzione sonora simile e dalla valenza positiva. “Equinox” presenta una languida slide guitar, in un contesto comunque non particolarmente diverso dai precedenti. “Seesaw” è ancora più elaborata, con una chitarra sempre più acustica, in un contesto lievemente prog. “Gone west” è l’unico brano che supera i 4’ e si caratterizza per un lento incedere sul quale si innestano le trame sonore della chitarra. “Suma” procede allo stesso modo, mentre “Steel breeze” è molto vicina a tanta musica proposta da Yes.
In definitiva niente di esaltante, solo grande ammirazione per uno stile musicale personale e di qualità, ma al termine dell’ascolto si rimane un po’ delusi. Sembra più una masterclass sull’uso calibrato della chitarra semiacustica che un disco.
Voto: 6,5/10
Massimiliano Paluzzi