di Salvatore Mazzarella
Alberto Molesini, in arte Baro Prog, è uno dei tanti artisti che in silenzio, con umiltà e con tanta passione, hanno dedicato un’intera vita alla loro musica preferita, in questo caso il prog. Il connubio con Andromeda Relix ha fatto si che il suo patrimonio compositivo non andasse disperso, sino ad arrivare alla pubblicazione dello splendido Prog-jet IV: Aionverse, una vera e propria opera rock che ci da l’occasione per una chiacchierata in cui il nostro si racconta e condivide con noi il suo universo artistico.
Ciao Alberto! Prima di parlare del nuovo album mi piacerebbe conoscere l’origine del nome del progetto Baro Prog e come mai questa variazione sul suffisso Jets che è stato ricollocato, con numerazione, nel titolo del tuo nuovo lavoro.
Ciao! Baro è il mio soprannome da quando avevo 8 anni. Poiché abitavo in una casa che pare fosse appartenuta ad una baronessa, e l’idea di un titolo nobiliare allora mi lusingava, ho detto agli amichetti “chiamatemi Barone”. Ma, troppo lungo, presto è stato contratto in Baro. Un nobile imbroglione, insomma. Quando ho iniziato a giocare con la musica è diventato anche il mio nome d’arte, e tale è rimasto come moniker per le prime edizioni non ufficiali dei miei album. Nel 2018, quando con Andromeda Relix si è deciso di fare sul serio, si è aggiunto prog-jets, da leggersi come “progGetti” o meglio “getti di prog”.
Ogni album era un prog-jet. Purtroppo la somiglianza fonetica (ma non di significato) con nota e apprezzata band italiana ha provocato qualche fastidio, risolto accorciando in Baro prog.
Con la prima parte del titolo dell’album (prog-jet iv) dal nuovo moniker (Baro prog) ho voluto far presente due cose:
- che l’idea di prog-jet non veniva abbandonata;
- che si trattava della 3° release, ma del 4° prog-jet (la 1° release, doppio CD, metteva insieme i primi due prog-jets).
Come ho scritto in sede di recensione, il disco racchiude una vera e propria opera rock incentrata su tematiche esistenziali e profonde come la creazione, l’eternità, l’immortalità dell’anima ed il rapporto col divino. Puoi descriverci l’idea che sta alla base della stessa, com’è scaturita e come si è sviluppata?
Le tematiche esistenziali sono il filo logico in cui si snoda anche tutta la mia produzione precedente, toccando in particolare: amore nel senso più ampio possibile, attesa e ricerca di un senso grande per la vita, autolesionismo dell’uomo e della società che si declina in ideologia e utopia.
Intendevo continuare a muovermi in questo ambito, e dalle stesure provvisorie dei testi hanno iniziato ad affiorare alcuni spunti inizialmente non correlati. “Mom and D(e)ad”, prima lirica ultimata, è nato come storia a se stante: durante la composizione sono mancati Emerson e Lake, questo mi aveva ispirato una breve sezione strumentale nel loro stile e portato l’ambientazione nell’aldilà; le parti cantate poi si prestavano ad un duetto maschile-femminile e da lì questa idea del ritrovarsi di una coppia nell’afterlife, dopo essersi lasciati non benissimo sulla terra, e la prospettiva del perdono. “Flow of Life” si è sviluppato con l’intento di descrivere il turbine della vita in cui un giovane vivace si viene a trovare; inizialmente questo gli corrisponde, ma rischia nel tempo di non vedere mantenute le promesse. Il giovane in questione diventa il protagonista Sonny, che poteva essere un figliol prodigo moderno (Sonny Prodigal) con i sopra citati Mom and Dad come genitori. Questi affondi sull’idea di famiglia mi hanno fatto pensare di affiancargli un gemello, da lì le storie parallele che poi si incrociano (“Crossing Pathways”). L’afterlife si è poi ulteriormente precisato nella dimensione dell’Aionverse, introducendo la figura di Creator, e questo ha chiuso il cerchio.
Viene naturale chiederti se hai composto prima le musiche o tracciato il plot del racconto, adattando le musiche in un secondo momento… Ma più in generale mi incuriosisce sapere come nasce, cresce e quando si decide che si è pronti per andare in sala d’incisione…
Il mio workflow prevede in genere che venga prima la musica, il testo è al servizio e crea immagini che confermano lo scenario musicale. Per Aionverse addirittura sono passati 6 anni tra la fine del progetto musicale con testi provvisori e la stesura definitiva del concept e dei testi stessi, tempo in cui ho finalmente pubblicato i primi 3 prog-jets risalenti al 1980, 1983 e 2004.
Io mi autoproduco, pertanto lo sviluppo dei brani avviene tutto in studio. Il provino grezzo realizzato da me viene pian piano arricchito coi suoni definitivi, col drumming di Gigi Murari che non ringrazierò mai abbastanza, con i contributi degli ospiti registrati a volte a distanza, altre in presenza.
Il singolo brano può richiedere anche 2-3 anni, secondo il paradigma che chiamo del cantiere aperto, con idee che si abbinano ad altre idee magari rimaste inutilizzate per mesi o anni. Anche perché è prog: i brani più significativi spesso sono suites in varie sezioni, con dentro un numero elevato di idee concepite a volte quando arriva l’ispirazione e non te lo aspetti (per caso) e altre volte invece lavorando in studio (per volontà). Per volontà e per caso, come diceva Pierre Boulez.
Raccontaci com’è andata al momento di assegnare le parti ai vari ospiti! Quelli a cui subito pensato, come hanno accolto la tua richiesta? C’è stato qualcuno che desideravi e non sei riuscito ad avere sul disco?
L’idea dei cantanti ospiti, concordata con l’etichetta, è rimasta per qualche tempo lì davanti a me come una montagna da scalare. Ci avevo già provato per “Mom & D(e)ad”, perchè il dialogo tra personaggio maschile e femminile era definitivo da tempo, senza riuscire a trovare disponibilità. Ma ormai al disco mancava solo questo, e su questo mi sono concentrato. Diciamo che ci sono tre fasce di ospiti:
- gli amici di vecchia data, Titta e Andrea D’amè, che hanno accettato subito e li ho registrati io;
- quelli pescati nella mia regione. Il primo Andrea Vilardo, sentito con i Blind Golem mi sembrava un timbro perfetto per “Creator’s Farewell”; mi ha dato subito disponibilità anche se stava cambiando casa. Invece per “Life” il primo iniziale insuccesso, volevo tentare il colpaccio con Jon Anderson (la sezione del brano sostenuta da voce e chitarra classica si prestava molto) ma non sono riuscito a contattarlo. Allora mi è venuta in mente Meghi, eravamo da un po’ FB-amici senza aver mai interagito. La tonalità era un po’ bassa ma lei è stata disponibilissima a provare, anche per empatia col personaggio da interpretare per il suo amore alla vita; bellissima scoperta;
- infine i più internazionali: Iacopo Meille mi è stato consigliato da Gianni dC e si è calato molto bene nei panni del coprotagonista Larry, con grande entusiasmo per quella che ha dichiarato essere stata la sua prima esperienza nel prog. La voce di Heather Findlay invece mi ha sempre affascinato da quando l’ho sentita cantare “Signs” di Arjen Lucassen. Mi sono stupito che abbia accettato senza esitazione. Non ho mai incontrato di persona Iacopo, Meghi e Heather, ma i dialoghi online sono andati sempre molto al di là dell’aspetto puramente musicale, permettendomi di scoprire persone ricche di umanità.
In effetti oltre a Anderson c’è stato qualche altro tentativo andato a vuoto, ma preferisco non svelarlo, rischierei di bruciare sorprese per il futuro.
Per quel che riguarda l’aspetto esecutivo, hai deciso a priori come dovevano essere eseguite le varie partiture degli arrangiamenti o hai sviluppato il tutto con l’ausilio dei tuoi collaboratori?
Sono piuttosto individualista per quello che riguarda la composizione, e questo va a toccare ogni dettaglio. Quando mi sono rivolto agli altri musicisti era tutto già scritto, non è detto però che poi sia stato eseguito pedissequamente. Cantanti e musicisti spesso hanno reinterpretato, anche talora discostandosi dall’idea originale, ampliando così la tavolozza di colori, sempre contribuendo positivamente al risultato finale. I contributi pianistici di Paolo Zanella sono stati improvvisati in linea con l’intento jazz, Gigi Murari ha sfruttato a meraviglia ampi spazi di manovra con il suo fantasioso drumming, i chitarristi a volte si sono sbizzarriti, altre hanno potuto aggiungere solo il loro tocco, Elena Cipriani ha messo a disposizione la sua impressionante estensione sulla quale ho potuto contare a priori nel redigere la partitura dei cori. Dunque collaborazioni spesso a distanza, altre volte a uno tra me e un ospite, mai di gruppo; tuttavia mi sembra di poter dire che l’ensemble si percepisce, credo sembri più il disco di una band che di un solista.
L’artwork è bellissimo, affascinante, così come il libretto del cd estremamente curato. Ne vogliamo parlare?
Su questo aspetto Andromeda Relix è esigente, ritenendo che la copertina abbia un impatto decisivo sulla scelta degli appassionati. Questo mi ha stimolato ad uno sforzo di resa visuale del prodotto musicale, iniziato con la prima release e maturato con le successive. Ho lavorato in particolare sull’impostazione del progetto grafico, andando poi alla ricerca in rete degli artwork più corrispondenti al mio intento. Con Aionverse non ho voluto ignorare le possibilità offerte dall’intelligenza artificiale. Mentre per Utopie la piattaforma di ricerca era stata Pixabay e avevo trovato un artista fantasy in particolare (Kellepics), stavolta invece ho visionato centinaia di artworks AI generated (sempre con un’idea forte suggerita da artista umano) su DeviantArt, finché questa immagine di tale Xandaclaus mi ha folgorato per stile e attinenza al mio concept. Per altre immagini, sia del booklet che dei vari videoclip, mi sono divertito a farle generare io.
Hai dedicato un intera vita al prog!!! Raccontaci un pò dell’Alberto ragazzo che ascoltava i propri idoli e sognava di emularli un giorno…
Il prog – ma più in generale musica impegnata che includeva jazz, classica, elettronica e contemporanea – si è affacciato alla mia mente, direi ancora di bambino, grazie a mio fratello Gianguido, di qualche anno più grande. Un suono lontano dal mainstream, immagini a volte oscure ed inquietanti che probabilmente hanno contribuito a plasmare la mia personalità, spero senza troppi danni. A 12 anni avevo scritto la mia prima canzone, “Ach the Stomach Contraction” e mi ero etichettato come “von Baro I°” (è la prima volta che riesumo questo moniker pubblicamente), con questo misto poco consapevole di inglese e tedesco. La canzone è distopica e al giorno d’oggi, forse, ai genitori di un tale ragazzino consiglierebbero una verifica psichiatrica. Ma tranquilli, ho raggiunto i 60 anni con reputazione di persona equilibrata. Il desiderio di salire su un palco e fare quello che si vedeva nei pochi video disponibili allora si è fatto strada, mettendo insieme amici d’infanzia nel primo “complesso”, oggi progetto, chiamato “La Sintesi”. Gruppo che esiste ancora e collabora ai miei prog-jets, l’attività è blanda ma l’amicizia attiva: alcuni riscontri ci portano talvolta a chiederci, senza rimpianti, se non avremmo dovuto crederci di più e tentare carriere artistiche professionali. Dentro di me però c’era evidentemente una propensione solistica, avevo iniziato a scrivere per progetti ampi che sono stati solo parzialmente utilizzati dalla band. Un filone che mi ha portato alla situazione attuale, che stiamo raccontando. Senza rimpianti, dicevo sinceramente: un conto è il sogno, ma la vita da rockstar non farebbe per me. La sceglierei come seconda vita solo se fosse possibile affiancarla alla mia realtà, più stabile, che amo.
Prediligi il basso, ma sei un polistrumentista! Quali sono i musicisti che più hanno influenzato la tua crescita? Oggi che musica ascolti? Se e come si riversa nelle tue composizioni?
In studio posso cimentarmi alle chitarre e alle tastiere, ma non sarei in grado di suonare fluentemente dal vivo i miei brani su questi strumenti. Che io suonassi il basso è stata un’esigenza della prima Sintesi, e andando alla ricerca di modelli sono stato folgorato da Chris Squire. Mi ero già innamorato degli Yes, ma a quel punto si aggiungeva un ulteriore interesse per quelle linee di basso, che ho iniziato a riprodurre a orecchio. In quegli stessi mesi mi sono reso conto che avrei potuto cantare, e la voce di Anderson e le loro armonie vocali sono state per me un’influenza irresistibile. Niente di originale nemmeno nelle altre principali influenze: King Crimson, Genesis, ELP, Gentle Giant, poi Zappa, Pink Floyd, Curved Air. In Italia Banco e PFM, sul fronte vocale New Trolls e, lo ammetto, i Pooh più rock dei primi anni 80. Non ho seguito troppo gli sviluppi del new prog, ma ascolto volentieri Porcupine Tree e Ayreon. Quest’ultimo progetto ha sicuramente influito nell’indirizzarmi verso la rock opera, ma si può dire che la mia propensione è ben datata, e si può riscontrare in tempi non sospetti già dal primo prog-jet Lucillo & Giada.
Certo, è gratificante per te la stima della tua etichetta, Andromeda Relix, che ha preso a cuore la tua opera permettendoti di revisionare e ristampare i vecchi lavori. Parliamo del vostro rapporto.
Si tratta di un rapporto tra persone, in cui contano stima e fiducia. L’etichetta ha obiettivi soprattutto artistici, lo stesso vale per me e la sintonia è stata immediata, senza alcuna incrinatura dalla prima occasione di incontro con Gianni della Cioppa a una cena per festeggiare la pubblicazione di One Light Year dei Marygold, a cui ho partecipato come bassista ospite (ancorché unico). Elemento di fiducia che mi ha subito conquistato è il fatto che non c’è stata nessuna richiesta di rivedere i contenuti musicali: la rivisitazione dei miei vecchi prog-jet andava bene così, e così è stato per Utopie che era già finito. Su Aionverse c’era ancora qualche grado di libertà ed è scaturito il consiglio dei cantanti ospiti, direi importante ingrediente che ho fatto mio. L’altro aspetto su cui si è giocato qualche dialogo ha riguardato la già citata impostazione grafica. Per cui un rapporto amichevole, un po’ di mentorship, ampia libertà nelle scelte, ingredienti che mi sono congeniali.
Sul fronte live cosa prevedi? Quali saranno le tue prossime mosse?
L’aspetto live è un nervo scoperto. L’esperienza della Baro 60 Progkestra dell’anno scorso, in cui abbiamo affrontato brani dai primi 3 prog-jets, è stata sicuramente incoraggiante. Per Aionverse però andrebbe ampliato il parco cantanti e sarebbe interessante un approccio teatrale, o da musical. Mi sentirei pronto per la parte musicale di un progetto live, forse anche per qualche apporto visuale, ma certamente mi servirebbe aiuto per l’organizzazione degli eventi. Pertanto al momento non c’è nulla di preciso all’orizzonte. Rimane ancora impegnativo l’aspetto promozionale e social di Aionverse, ma sto iniziando a pensare a un nuovo prog-jet. Di nuovo c’è che… non ho nulla di nuovo non pubblicato, ho esaurito le scorte; mi sono portato in pari con la pubblicazione di quanto scritto in un passato anche piuttosto remoto e ora mi trovo con una pagina quasi bianca davanti. Questo è stimolante, vediamo se la creatività si scatenerà.
Mi complimento ancora per il bellissimo Prog-jet IV: Aionverse, ti ringrazio per questo incontro virtuale e, salutandoti calorosamente, ti chiedo di chiudere con le tue parole!
Grazie Salvatore, è stato un piacere. Mi sorprende sempre che un sito dichiaratamente metal ospiti la mia proposta, che non disdegna qualche passaggio “hard” ma è decisamente orientata in senso melodico-sinfonico-romantico. Questo evidenzia una certa ampiezza di vedute da parte dei lettori di GiornaleMetal, che spero di aver incuriosito e ai quali rivolgo un caloroso saluto.
















