Gli Scarleth, band Ucraina con un paio di album alle spalle, si propongono a noi, tramite l’italiana Rockshots records, con questo loro lavoro dal titolo “Vortex” che ha del potenziale interessante ed allo stesso tempo dei rimandi pesantissimi di alcune band di punta della label.
Pur avendo la cantante donna non entrano nel finto filone del “female fronted” che va di moda in questo periodo(e che mi permetto di dire non è né un genere, anche se qualcuno sta spingendo per farlo diventare, né determina la qualità e la tipologia di sound) e nello stesso tempo pur avendo tastiere tipiche del power, comprensive di stessa tipologia di arrangiamenti ma ne parleremo meglio più avanti, propongono un lavoro che ha spunti interessanti pur non essendo fino in fondo chiaro “dove” la band voglia andare.
Le strutture compositive sono vagamente orientate verso il power metal, ma con chitarre droppate in stile nu metal ed i synth, come dicevo prima, con arrangiamenti e meccaniche in stile power ma con suoni più vicini all’ambiente dell’electro rock. Ottime scelte post produttive e di mixer, ma c’è un “quid” che stride; è un qualcosa di atavico e di interiore.
La voce femminile in primo piano molto interessante in primissima battuta, perché non prova con il lirico o finto lirico, tipico delle band power al femminile, e da ottimi rimandi per la capacità d’interpretazione.
Nota dolente invece la parte maschile, che seppur usata per alcuni cori ed alcuni rafforzativi, quindi non così presente, risulta assolutamente non necessaria e poco incisiva. Non necessaria perché è lasciata così tanto in disparte, e per volume e per parti, che pare che il vocalist maschile abbia paura o peggio vergogna a cantare. Cosa che ho potuto notare sovente all’interno di band in cui la voce femminile è la principale.
Sinceramente non ho trovato canzoni che in qualche modo possano spiccare più di altre, l’intero “Vortex” è un lavoro dignitoso, ma non ci sono, ribadisco, canzoni che più di altre spuntano. “Be what you are”, “No return”, “Pain is my name” e “Break the chains” sono le tracce che potrebbero darvi il senso di tutto l’album. Come dico spesso, ovviamente fate vostro l’album e decidete sia quali possano essere i vostri pezzi preferiti e se ho ragione o torto.
Concludendo, album dignitoso, ma dopo due o tre ascolti comincia ad essere un pochettino opaco e purtroppo, per la band, non rimane molto in testa. Speriamo che la band possa riuscire a liberarsi da certi metodi di composizione che se pur con timidi tentativi di andare fuori dagli schemi la band è assolutamente e facilmente categorizzabile per genere e tipologia.
Voto: 6/10
Alessandro Schümperlin