In occasione della prossima uscita dell’album d’esordio “Rupert The King” dei suoi Mortado, abbiamo voluto reintervistare il GL Perotti nazionale, che ci da qualche delucidazione sulla prossima attività della sua nuova band, spiegandoci anche quelli che sono i punti salienti di quello che si presenta come un nuovo caposaldo del Thrash Metal nazionale… e molto altro. A voi la viva voce di GL.
Ciao Gianluca, bentornato sulle pagine telematiche di GiornaleMetal.it!
Orgoglioso di essere tornato. Onorato di essere di nuovo sulle vostre pagine. L’altra volta siete stati i primi, lo ribadisco, per volere di Maurizio che è un fan di vecchia data. Lo saluto.
Allora, il CD dei Mortado è realtà. Dall’ultima volta che ci siamo sentiti, ci puoi raccontare qualche novità? Del tipo, quanto di ciò che ti prefiggevi di raggiungere, sei riuscito a concretizzare?
Allora, lasciami dire che innanzitutto il CD di esordio dei Mortado è da considerare un miracolo! E’ arrivato tutto, come dire, dal cielo. A partire dall’altro fondatore, il batterista Manuel, che ci ha messo del suo per dare il là al progetto, portando poi dentro tutto il resto della line-up. Da allora, abbiamo fatto pochissime prove. Ci saremo trovati assieme non più di 6 o 7 volte, per lavorare a musica e testi. Siamo riusciti in così poco tempo innanzitutto a partire, concretizzando la realizzazione della prima song “Rupert The King” con la quale far partire Music Raiser. Difficoltà nel realizzare questo disco ne abbiamo anche affrontate, soprattutto inerenti questioni lavorative. Il chitarrista Stefano, ad esempio, lavora in Svizzera (ci vediamo per provare nei weekends). Tra l’altro i primi di dicembre ha subito un’operazione doppia al tunnel carpale. Ma per fortuna questo non ha compromesso la registrazione del disco. E’ andato tutto bene. Abbiamo inciso per questioni logistiche le parti di batteria nello studio-sala di Manuel (che di lavoro fa appunto l’insegnante di batteria, in due scuole di musica come anche privatamente, oltre a dare lezioni di Muay Thai), e abbiamo proseguito il lavoro ai Decibel Studios del fonico Carlo Veroni (in quel di Busto Arsizio). Per ogni strumento le sessioni sono durate massimo una giornata. Una per il basso, una per le chitarre ritmiche, una scarsissima per tutti i soli… personalmente sono riuscito a ultimare le vocals alla grande in 14 ore totali (splittate in due giornate). Sono andato alla grande, senza prove pregresse perché i testi sono stati ultimati in corso di produzione, proprio mentre l’album prendeva forma: erano pronti grossomodo 3-4 giorni prima dell’inizio dell’incisione dell’album e li ho “ciccati” grammaticamente 20 minuti prima di chiudermi in studio, corretti al volo assieme ad un’amica di Carletto (il nostro sound engineer). Ho cantato i testi al volo ed è venuto così, un album Heavy Metal con una concezione molto Rock & Roll. Ho usato cuore e spontaneità, e mi sento di aver perso ben poco della mia voce a 50 anni, anche senza grandi prove alle spalle. Anzi, credo di averci guadagnato vocalmente. L’ho notato al Dagda il 4 aprile, quando ci siamo “sverginati” live, ospiti dei Flesh Of The Blade (cover band degli Irons dove suonano da 13 anni Simone e Stefano), suonando “Blood Shower”, “Double Face” e “Rupert The King” (con l’occasione annuncio che sempre al Dagda risuoneremo anche l’11 maggio in tour).
Ho notato che hai rispolverato il vecchio classico “Double Face” degli Extrema. Se permetti, una versione molto più viscerale dell’originale. Come mai questo? Forse, la versione originale non ti soddisfaceva?
In primis perché la chitarra in fase di registrazione l’ho dovuta suonare io, poiché Stefano in quel periodo era a Berna per lavoro. Bada che ho provato a riprendere in mano la chitarra ritmica dopo tanti anni, durante i circa 3 mesi di prova e composizione dei pezzi dell’album, ed accortomi che non mi vengono alla perfezione tutti i pezzi alla chitarra, essendo io insomma un po’ arrugginito, attualmente mi concentro sulla voce, e ho effettuato le prove principalmente come vocalist. “Double Face” è l’unico brano di “Tension At The Seams” che parte completamente da me come composizione. E’ stato sviluppato con delle varianti da Tommy per la versione di quell’album. Ho ancora la versione demo, dove la chitarra è tutta suonata da me. L’ho ripescato proprio per questo, e soprattutto perché il testo mi pare ancora perfettamente attuale. Lo avevo preventivato già in scaletta per il disco dei Mortado, e mi pare che sia venuto anche bene, anche grazie ad una produzione più fresca (è stato poi molto bravo il nostro bassista Simone, che non essendo ferrato nello slap come il “Maestro” Mattia Bigi, ha deciso di dare un colore diverso a questa versione, caratterizzandola a suo modo: anche per questo il brano ha guadagnato molto).
Nel disco ci sono titoli del calibro di “Venom”, “Dangerous Deal”, “No Escape”. Pare che a livello di liriche siamo in pieno stile Thrash. Protesta frontale e sfanculamenti di vario genere. Pregevole come risultato artistico. Vuoi illustrarci qualcuna delle invettive che hai preferito lanciare con le liriche del tuo album?
Beh ad esempio “Escape” (l’unico brano, per ora, con collaborazioni compositive degli altri membri della band), ha un testo molto personale. Contiene un urlo growl dove dico chiaramente “LIES!” (anche per farlo urlare al pubblico nei concerti), ed infatti il testo narra di come la storia dell’umanità sia il risultato di una grande menzogna, appunto. Negli ultimi anni ho fatto degli studi, delle ricerche che mi hanno portato a formulare questo pensiero: la realtà odierna è tutta una riprogrammazione del cervello degli esseri umani. Parlo di certe “linee nobiliari” inventate che trattano il resto dell’umanità come schiavi, come topolini dentro un labirinto. Il pezzo è un grande grande “Fuck-Off” a questa gente, che in realtà non ci deve rompere i coglioni. In “Dangerous Deal” parlo di questo “contratto pericoloso” che firmano i militari. Quando hai firmato, sei obbligato ad andare alla “loro” guerra, la loro guerra santa, in nome di un dio che hanno inventato proprio per andare a fare guerre su guerre… Nella storia dell’umanità è sempre tutto uguale: è sempre tutto programmato a tavolino. In realtà, i “signori” sono tutti amici tra di loro, quando “si spengono le camere”. Quello che ti fanno siglare, è appunto un contratto pericoloso. Firmi e quando ti chiamano, amico, devi andare. Non puoi dir di no. Altrimenti diventi disertore e finisci in prigione. Anche chi torna dalla guerra, viene lasciato a se stesso. Non esistono tutele per questi poveri ragazzi… che tra l’altro provengono dalle zone più malfamate. Vengono presi proprio perché non hanno più niente da perdere. Michael Moore ha scoperto che città come Detroit vengono ridotte alla fame anche per questo. Molti ragazzini hanno questo pensiero: non me ne frega nulla di fare le guerre in Medio Oriente ma devo tirar su dei soldi per questo faccio il militare. Tutto l’album parla appunto della pericolosità portata da questi “signori”, che sono appunto un veleno (da qui anche il testo di “Venom”). Parlano di democrazia, di utopistiche società perfette ma per colpa loro, come diceva MegaDave Mustaine, “the system has failed”. Il sistema è proprio destinato a fallire nella pratica. I signori non hanno lasciato nulla al caso. Tutto è fatto per un motivo. Un motivo che è in agenda da secoli. La bibbia è un librone inventato di sana pianta dai “signori” di cui dicevo. “Rupert The King” è il mio modo di chiamare chi governa, altrimenti detto il Diavolo, Belzebù, Apollo, Saturno… e ci sarebbe molto da discutere sul fatto che un nome conta tutto, sulla cosiddetta Gematria, ma si allungherebbe il discorso. Anche se il nostro non è un concept-album ha quindi un tema conduttore. Quello con cui sono cresciuto: la denuncia sociale, la rabbia, tutto ciò che è tipico del Thrash Metal. Un genere che ancora oggi da fastidio e non muore… i Metallica, che a loro piaccia o no, ne rimangono i padri (e ti dico questo anche dopo aver punzecchiato Hetfield sul suo profilo FaceBook per la sua performance “denarosa” accanto a Lady Gaga: gli ho scritto “una volta eri il Master Of Puppets ora sei il Puppet”). L’album dei Mortado vuol dire anche questo: che nessuno mi dica più cosa scrivere, cosa cantare… perché ultimamente i problemi erano diventati anche questi. “Capisci a me”. Ho fatto questa band anche per avere piena libertà di espressione musicale e lirica. Seppur ci consultiamo tra noi in maniera del tutto democratica. Difatti non mi ritengo assolutamente il capo, se non spirituale (riconosciuto dagli altri perché sono io che ci metto la faccia: se va tutto bene è merito della band, se va tutto male la colpa è di GL, e magari c’é gente là fuori che spesso e volentieri mi vorrebbe veder crollare). “The Art Of Soul” è invece un pezzo in stile Pantera, ma dedicato al Maestro Bruce Lee, i cui insegnamenti mi hanno cambiato la vita (fin dall’età di 9 anni, quando ho letto la sua biografia). Era da molto tempo che volevo dedicare un pezzo alla sua memoria, ed eccolo qui.
Hai voluto rendere omaggio al “Great Spirit” degli Indiani d’America con l’omonima, sperimentale traccia. Secondo me un omaggio molto più sentito rispetto a canzoni di argomento similare abbastanza presenti nel Metal. Come mai?
Grazie di cuore. Perché innanzitutto io stesso sono cresciuto, come tutti, giocando con la “grande menzogna” dei soldatini della Atlantic, e già allora sceglievo istintivamente di impersonare gli Indiani. E tutt’ora sono iscritto alla pagina FaceBook “Io da piccolo stavo con gli Indiani”, che condivide ogni giorno delle preziosissime perle di antica saggezza dei Nativi d’America. Sono molto appassionato alla storia dei pellerossa. Mi sono documentato moltissimo degli anni, leggendo libri come “Gli Spiriti Non Dimenticano” e soprattutto “Alce Nero Parla”, da cui ho imparato molto della loro spiritualità, e anche di come furono distrutte intere tribù da gente come Buffalo Bill (fu lui il primo grande cacciatore di scalpi dei pellerossa), che li ridusse alla fame ad esempio cacciando tutti i bisonti (con il bisonte i pellerossa facevano tutto: non si buttava nulla!). Il brano è stato suonato di getto, improvvisato su un giro di batteria che avevo in mente da una quindicina d’anni. Anche la parte vocale è tirata via in maniera molto spontanea (a partire dall’esclamazione “Eh yah!”. Tra l’altro il suffisso “Yah/Jah” è la radice ancestrale del nome di Dio che ritorna in tutte le antiche culture). Un tributo spontaneo, nato dal cuore e suonato in modalità “buona la prima”. Per “spezzare” un po’ l’album, come accadeva negli album della nostra vecchia scuola (tipo Black Sabbath con i brani acustici di dischi come “Sabotage” e “Vol. IV”, NdR).
Bene siamo ai saluti. A te l’invettiva finale.
Un saluto a tutti. Quest’album racchiude tutta la mia esperienza personale di 35 anni nell’Heavy Metal. Ascolto solo roba “Old School” oramai, e quindi ho deciso di uscire con un album contenente qualcosa che in fondo non sento suonare più da nessuna parte. Un disco dedicato a tutto l’Heavy Metal… e Heavy Metal sia. Senza pensare a tutte queste distinzioni e caste in cui ci hanno suddiviso (Death, Black, Grind, Brutal, Power et similia). Heavy Metal e basta, dico io. Speriamo di tornare ad essere la forza unita nel nome dell’Heavy Metal. E sia!
Intervista raccolta da Alessio Secondini Morelli