“Until the end” è il secondo album dell’Ordine dei Cavalieri di Parsifal, band friulana di Gradisca D’Isonzo che è in pista da vent’anni ed arrivata a questo nuovo traguardo grazie alla Underground Symphony.
Dal nome ci si aspettano draghi e power sinfonico, invece si parte a tutta con l’heavy metal classico di “Black Lion”, animato da un riffone di grande presa, per un brano breve ma intenso. La sezione ritmica accompagna classicamente l’assolo delle due chitarre, una caratteristica che troviamo spesso in questo disco, con il suono del basso abbastanza roboante. Il Sacro Ordine di Parsifal è composto da Carlo Venuti: chitarre e cori, Claudio “The Reaper”: basso e voce, Davide Olivieri: chitarre e voce e Luca Komavli: batteria. Un gruppo compatto che , come si vede dai video che hanno realizzato, si divertono a suonare, comunicando questa loro felicità.
Ancora più definita e elaborata “Starblazer”, della quale è stato realizzata una clip che si trova facilmente. Meno diretta, presenta ancora grandi spazi per le due chitarre soliste che non tradiscono.
Da qualche parte ho letto di difficoltà di produzione ma, sinceramente, mi pare il taglio giusto da dare a un tipo di musica, l’heavy metal tradizionale, venato da qualche lontana influenza dark, che deve essere così rappresentato, senza particolari cromature, come fosse una esibizione live.
Più lunga e meno d’impatto è “Inside Me”, ma anche qui il riff è molto azzeccato, semmai i cori e le parti vocali potevano essere un po’ meno scontate, ma il brano è tutt’altro che inascoltabile. Più prevedibile “Still dreaming”, che suona davvero datata, soprattutto per gli impianti vocali, in un brano che sembra appartenere a vecchi demotape anni 80. Di ben altro spessore e qualità uno dei brani storici della band che, per vari motivi, non aveva avuto una degna applicazione discografica. “Stone river”, cavallo di battaglia dell’ Ordine dei Cavalieri di Parsifal, è anche questo riconducibile agli albori del metal, ma è un eccellente pezzo, con assoli di classe e un impianto molto evocativo.
Aggiunge poco a quanto detto “Doomraiser”, anche se è interessante il tono epico conferito al brano, specialmente nella parte finale di esso. “Eagle of the night” è molto vicina al power classico, un brano che ha il suo “tiro”. Nello sviluppo dei riff mi rimandano a certi passaggi della Strana Officina e, per chi conosce la mia grande stima nei confronti del gruppo labro-pratese, è senz’altro un complimento. Anche l’arpeggio che costituisce l’ossatura di “Fallen hero” è certamente rivolta al passato, anche per la sua costruzione. Più robusto il riff di “Seals of Fire”, brano semplice e classico. Non solo per la lunghezza, decisamente più elevata del resto del disco, ma la title-track è il brano più “progressivo” del lotto, con una digressione chitarristica di tutto rispetto,
“Until the ends” è un disco d’altri tempi, consigliato a chi si emoziona con la musica degli anni 80.
Voto: 7/10
Massimiliano Paluzzi