di Claudio Frascella
Polistrumentista, artista poliedrico, Ivano Fortuna, tarantino, ha pubblicato il suo secondo album: “Mutazioni”. Dovesse fare sintesi delle sue esperienze?
«Parto da Taranto, e arrivo ad Amelia dove vivo, lavoro e scrivo canzoni, ma ho viaggiato per il mondo. In molte occasioni ho portato in giro anche la lingua dialettale tarantina con lo spettacolo “Uèzete”, tratto dall’omonimo album vincitore di un Premio alla cultura con il patrocinio della Presidenza della Repubblica Italiana e della Regione Puglia».
Dovessimo definirla “cittadino del mondo”?
«Non andreste tanto lontano. Ho suonato, fatto concerti ovunque: Africa, India, Stati Uniti, Canada, Malesia e Thailandia ed in molti paesi europei. In tutti questi anni ho suonato e collaborato con Tony Scott, Roberto Ciotti, Tony Esposito, Mauro Pagani, Amit Chatterjee, David Jackson, Renzo Arbore, Sergio Bardotti, Gigi Cifarelli, Sergio Laccone e molti altri, a cui aggiungo anche le orchestre come le orchestre dll’Accademia di Santa Cecilia, di Mantova, Padova, la Deutsche Staatsphilharmonie Rheinland-Pfalz e l’ensemble Variances di Thierry Pècou».
Sventola orgoglioso i suoi quarant’anni di musica ed esperienze.
«Mi sento come un nobile combattente, amante della sottile bellezza, divertito, ma forte e coraggioso, pronto a donare musiche e testi come inni d’amore tra cielo e terra, fra palco e platea».
Dovesse definirsi?
«Un artigiano del suono, annuso atmosfere e regolo lo scorrere del tempo sospeso, provando a darmi al pubblico, possibilmente come una pioggia che scuote con fulmini e tuoni provocando momenti di magia».
Un incontro che più di altri, l’ha segnata.
«Quello con Tony Scott, grande uomo, artista geniale. Ha saputo indicarmi una via quando rischiavo di perdermi. Mi ha insegnato l’importanza di mantenere uno spirito giovane e di impegnarmi con tutte le mie forze in quello che poi è diventato non solo il mio lavoro, ma il mio ossigeno: non saprei stare senza musica, senza studiarla e crearne. Scott me lo presentò Giulio Capiozzo, mio maestro di batteria. Nacque subito un feeling speciale che ci legò indissolubilmente».
Anche Ciotti ha avuto il suo ruolo.
«Indimenticabile, mi ha regalato la visione concreta di come si rimane uomini e artisti liberi. Poi devo molto anche a Gabin Dabirè, Amit Chatterjee con il quale ho condiviso note e spiritualità, Gigi Cifarelli, la dolcezza fatta musica e poi ancora Sergio Laccone, Walter Lupi, Andrea Apostoli e i Dunia, che fondai e che mi introdussero nel mondo della musica etnica e world».
L’album “Mutazioni”, la sua seconda opera.
«E’ un album denso di collaborazioni scaturite da anni di concerti e musica. Con la velocità e i meccanismi delle nuove produzioni musicali, non hai il tempo di cesellare le intuizioni che, inevitabilmente, si sovrappongono. Una tendenza che rischia di “mutare” la musica e dove si muovono grandi investimenti».
Un artista che continua a stupirla.
«Peter Gabriel, artista immenso da cui mi piacerebbe apprendere. Non ho avuto occasione di conoscerlo, però anni fa partecipai ad una produzione francese che ricevette i suoi complimenti: il fatto che avesse ascoltato e ne fosse rimasto colpito, per me fu una grande soddisfazione».