Avete presente quei giocatori di calcio o di altri sport che, pur sapendo che sono avanti con gli anni, dimostrano intatta la loro classe e personalità? Bene, ascoltando il nuovo degli Illdisposed, ho avuto questa sensazione.
In pista da tanti anni, con l’esordio datato 1993, ma ormai fermi da molto tempo, visto che l’ultimo album risale addirittura al 2019, questi danesi sono veramente una macchina da guerra e hanno realizzato un disco, “In chamber of sonic disgust”, di ottimo livello, fresco e brillante nel suo death metal che comunica rabbia e frustrazione, ma sa essere anche arioso e con qualche piccola, ma significativa, apertura stilistica.
Un disco che, per stessa ammissione dei protagonisti ( Bo Summer – Vocals, Jakob Batten – Guitars, Ken Holst – Guitars, Onkel K. Jensen – Bass e Rasmus Schmidt – Drums, cui vanno aggiunti i sintetizzatori di Jonas Fris Andersen e Rasmus Schmidt che non giocano un ruolo secondario) è fortemente influenzato dal covid e tutte le sue conseguenze e la diagnosi di un tumore cerebrale al chitarrista Rasmus Henriksen, che ha lasciato la band per curarsi al 100%.
C’è Sandie The Lilith dei Defacing God alla voce, che partecipa a “Lay Low” e “I suffer” senza incidere particolarmente, si deve dire. Molto più intrigante la tastiera inserita in diversi punti, con buoni risultati in termini di orchestrazione e sound generale, come in “Start living again”.
Con forti contaminazioni thrash è la potente “And of my hate”, ma all’interno dei brani ci sono diversi cambi di atmosfera, più che di tempo, ma l’ascolto è piacevole e interessante. La canzone “The Ill-Disposed” è davvero un manifesto della proposta musicale della band danese, con un riff monumentale, che descrive proprio l’oppressione che si vuole rappresentare.
La voce è growl, ben inserita nel contesto, ma, come spesso accade, alla lunga diventa monocorde e forse qualche variante sarebbe auspicabile, per rendere più vario il disco a livello vocale, tenendo così il passo a una parte musicale che, invece, pur muovendosi nei classici stilemi del genere, inserisce aperture melodiche e comunque varianti rispetto a prodotti di questo tipo.
La sezione ritmica si presenta a sua volta monolitica, senza significative variazioni di tempo o stilistiche, specialmente nella batteria, mentre il basso non emerge particolarmente, tranne forse un passaggio in “For Us” dove, peraltro, fa capolino il djent come espressione sonora. Più o meno lo stesso vale per la coppia di chitarre, che hanno una grande funzione ritmica ma di assoli ce ne sono pochi e non particolarmente rilevanti.
Ne emerge un sound compatto e diretto, senza tanti fronzoli, ma che si fa apprezzare proprio per questo, come in “I walk among the living”, un death piuttosto brutale, che però ritaglia, al suo interno, dinamiche sonore più ricercate.
Concludendo, un buon album, che rilancia la band danese nel death metal europeo e mondiale
Voto: 7,5 / 10
Massimiliano Paluzzi