Gli Heidevolk continuano ad andare avanti nonostante tutto e tutti. Attualmente nella lineup presente non c’è più nessuno dell’esordio, il più “vecchio” della band e attuale membro stabile è il bassista che comunque entrò nel 2006 nella band. Quindi parecchi cambi di line up, ma l’attitudine è la stessa e lo stile rimane invariato.
ATTENZIONE PERO’, l’attitudine è la stessa, lo stile anche ma c’è un ma… Non siamo di fronte ai fasti sonori di dieci-dodici anni fa, ma sicuramente un lavoro di alta qualità di pagan metal, con venature folk; con delle derive un pochino troppo “melodiche”.
Nel senso che rispetto al passato troviamo parecchie parti, per non dire quasi esclusivamente, di cantato in pulito e persino con delle corali tra l’epico ed il cinematico molto alte. Ma questo “problema”, va ammesso, che è riscontrato non solo in loro ma in molte altre band che fanno pagan e viking.
Non so fino a che punto sia voluto e fino a dove la scelta di ammorbidire il suono sia dettato dal “mercato” per cui troviamo: parecchie parti acustiche, parecchi cori(come definito prima) e anche in distorto risulta particolarmente orecchiabile e “ruffiano”, meno incisivo ma che fa il “suo”.
Quasi a fare l’occhiolino alla torma di “vichinghi del fine settimana” che stanno spuntando come funghi, grazie anche alle varie serie tv romanzate sulla vita dei vichinghi, e che con il metal (estremo e non estremo) non hanno mai avuto a che fare.
Sono sconcertato; non dall’album che è godibile nel suo complesso, ma dalla deriva che sta prendendo il metal in questi ultimi anni e che sta, evidentemente, colpendo anche le frange estreme.
Piegare il proprio suono ed il composto per recuperare soggetti che non hanno mai apprezzato il metal in favore di una moda temporanea o peggio di ricercare metodi di mix e master tipici del pop e della musica leggera inserita all’interno del metal mi sta pesantemente lasciando di sasso.
Sia chiaro, gli Heidenvolk non hanno fatto né un album pop né un album moscio, come non si sono svenduti; semplicemente anche loro, purtroppo, risentono delle dinamiche, di mercato o di un certo mercato forse sarebbe meglio scrivere, che appiattiscono parzialmente il metal nel suo complessivo.
Va ammesso che in alcuni punti risultano loro più credibili degli Amon Amarth degli ultimi lavori.
La opener “Hagalaz”, poi brani come: “Oeros”, “Klauwen Vooruit”, “Drink met de Goden(Walhalla)”, “Raidho” e la stessa titletrack “Wederkeer” sono di fatto le canzoni che spiegano quello che ho scritto fino ad ora e che sotto un certo aspetto sono più interessanti.
Come sempre vi esorto ad ascoltare l’album e a farlo vostro cercando i brani che più vi piacciono.
Credo che album come “Batavi”, o più incisivi del loro capolavoro del 2012, non riusciranno più a farne; ma comunque il lavoro proposto è interessante e complessivamente ben strutturato. Di certo risulta “genuino” quanto basta per poter affermare che la band pur avendo ammorbidito il modo di suonare tiene dritta la barra della nave.
Voto: 7.5/10
Alessandro Schümperlin