Grazie ancora alla grande attenzione alle realtà musicali underground ma di qualità della Black Widow arriva questo nuovo disco dei Gleemen che, come la stragrande maggioranza delle band con queste caratteristiche, non sono particolarmente prolifiche.
In questo “Dove vanno le stelle quando viene giorno” ci sono molti riferimenti musicali che attraversano gli ultimi 50 anni del rock e in generale della scena musicale alternativa al pop e alla canzone melodica italiana.
Ci sono due cover dei Beatles, ma rifatte in modo molto personale : “Tomorrow never knows”, dove su una base ritmica tribale poggia una chitarra distorta che sarebbe piaciuta a Jimi Hendrix, e “Within you, without you”, anch’essa piuttosto particolare, con un incedere piuttosto duro.
“Le tue dita al buio” è un pezzo decisamente malinconico, con un testo molto sofferto e una struttura musicale davvero sofisticata, con una atmosfera semiacustica di grande classe. Certamente Mauro Culotta, Marco Zoccheddu, Maurizio Cassinelli , Alessandro Paolini e Gian Paolo Casu, l’attuale formazione di questa storica band, che dedica il disco a Bambi Fossati, fondatore nel 1965 dei Gleemen e scomparso nel 2014 , ha una cifra tecnica di tutto rispetto.
Ascoltando il disco, che giunge dopo tanti anni, percorsi diversi fra i musicisti, con la band che ha assunto altre denominazioni come quella piuttosto nota di Garybaldi, sembra di comprendere che non ci sia omogeneità temporale fra le varie composizioni, ma potrebbe essere una mia sensazione.
Di sicuro ci sono sbalzi qualitativi molto evidenti, perché brani come “Ragazze di giorno, ragazze di sera” veramente deludente rispetto al resto dell’album, che, come ripeto, presenta passaggi strepitosi, sembra quasi composta per avanzare la candidatura a un Festival di Sanremo anni 70, tanto è melensa. Non tanto diversa la freakettona “Sulla Collina”, con prevalenza acustica e un testo francamente scialbo e forzatamente visionario e onirico, altro passaggio poco ispirato, almeno a livello lirico.
Di contro ci sono capolavori che annodano il prog italiano anni 70 alla psichedelia e al blues. Molto hendrixiana anche “La mia chitarra” che mette in evidenza una grande classe esecutiva di Culotta e Zoccheddu, con un taglio retrò e blueseggiante che oscura un testo non indimenticabile. Blues che ritorna nel brano cantato in italiano nonostante il titolo “What i wont to say”, che non sfigura in questo “Dove vanno le stelle quando viene giorno” che rilancia la band genovese e la colloca fra i migliori esponenti tricolori di questo genere.
Dicevo dei capolavori. Uno di questi è certamente la musicale “Intolerance”, riff clamoroso hard-prog che mi ricorda grandi passaggi di un Paul Samson ingiustamente sottovalutato, per la sua connotazione blues e l’incalzare del brano, piuttosto lungo, con inserti vocali come fossero strumenti. Affresco prog-psychedelico sono i 6 minuti di “Diario di un dromedario” che descrive la storia di un animale nel deserto, supportata da una struttura musicale di grande livello e cori che rimandano al periodo d’oro del prog italiano. Anche qui la chitarra lacera una situazione che sembra statica con inserti molto violenti, salvo poi riacquisire una dimensione semiacustica, mentre “Dove vanno le stelle” è un altro bellissimo strumentale prog-blues, con passaggi tastieristici di rilievo e una linea chitarristica originale. Anche “Facili Illusioni” potrebbe sembrare un brano tendente al beat-pop, ma suona molto diversa dagli altri capitoli pochi intriganti di questo disco, che comunque merita un ascolto approfondito.
Voto: 7/10
Massimiliano Paluzzi