In tempo di pandemia, il settore dell’arte è uno di quelli che certamente sta subendo maggiori danni. Sospendere i concerti fino a data da destinarsi, perché non è detto che dopo dicembre si riprenda, non blocca soltanto gli artisti che suonano e i fans che si accalcano sotto il palco, ma tutti coloro che lavorano alle spalle. Parliamo di tecnici, promoter e tutto un sistema che da sempre lavora in ambito musicale. Per non parlare degli studi di registrazione che certamente avranno difficoltà notevoli per consentire ai gruppi stessi di poter realizzare un album come si deve.
La salute è certamente al primo posto. Su questo aspetto non c’è nulla da discutere, però è necessario trovare delle soluzioni per andare avanti. Nel contempo però, occupandoci di musica prevalentemente underground, ci proviamo a mettere dalla parte dei musicisti, che se non suonano non promuovono la loro musica, non vendono le copie fisiche dei propri album e tutta la macchina della musica si ferma.
Ci sono state tante iniziative, con video “quarantena”, live in streaming da casa e tanto altro, ma sappiamo benissimo che non è la stessa cosa. In un momento come questo però ci attendevamo un minimo di legalità, invece cosa veniamo a scoprire? La nascita di label che non esistono. Entriamo nello specifico. C’è chi dice di avere un’etichetta indipendente, proponendosi di fare promozione al gruppo stesso, stampando una cinquantina di copie e mettendole in vendita non si sa come. Nessuna distribuzione in digitale, ma solo l’uso di siti accessibili a tutti. Qualcuno direbbe ma che è etichetta è? Ce lo chiediamo anche noi, ma esiste.
Ne una Partita IVA, ne un’iscrizione alla camera di commercio, nessun pagamento alla SIAE, nulla di nulla. D’istinto ci viene da pensare che è meglio l’autoproduzione che affidarsi a questa gentaglia improvvisata. Se poi chiediamo qualche spiegazione ecco risponderci che siamo noi i mercenari e che l’arte è fuori da questi vincoli. Per noi consentiteci, non è così, visto che come giornale paghiamo le tasse ed abbiamo una regolare registrazione in un tribunale.
Ma questa è solo una parte del marcio, come la nascita di agenzie di promozione che tutto sono tranne che uffici stampa. Sono molti i casi dove all’interno di queste agenzie non c’è un iscritto all’ordine dei giornalisti, che piace o non piace esiste, non c’è una partita IVA, tutto è a nero, tutto è sottocosto semplicemente perché parliamo di dopolavoristi, gente che ha già una prima attività e che magari si diverte a giocare a fare l’addetto stampa senza una minima professionalità. E guai a dirlo, perché o non si riceve risposta o sono più loro giornalisti che chi ha fatto una gavetta regolare e paga ogni anno le sue tasse dovute.
E sono le stesse persone queste, a cui se si tocca la propria prima attività escono i denti come felini e se per caso la nostra categoria osa ribellarsi al loro modo di fare ecco arrivare sempre la solita solfa come scusa dell’arte che non deve essere mercificata. L’arte è anche un lavoro. Come un pittore merita che i propri quadri vengano acquistati, un musicista merita che la propria musica venga pagata, di conseguenza, anche fare l’addetto stampa nel mondo della musica underground è un ruolo da affidare a chi ha la giusta professionalità carte alla mano e non per sentito dire. Comprendendo ovviamente benissimo che tanti gruppi hanno bisogno di aiuto e che non navigano nell’oro.
Detto questo la vediamo dura proprio per gli artisti, perché ad oggi si parla di tutto tranne che dei danni che subirà il mondo della musica in particolare quella underground da questa pandemia. La salute prima di tutto, ma le premesse per il futuro non sono buone.
Maurizio Mazzarella