“I sogni sono veri finché durano e non viviamo forse nei sogni?”. Alfred Tennyson
La Musica è spesso un viaggio…e in questo percorso che accompagna ognuno di noi a volte capita di imbattersi in artisti che ai lati della carreggiata ti aspettano con un cartello con scritto: passage…
La società per come è strutturata oggigiorno ci porta a velocità spesso talmente elevate che non capiamo che c’è una mondo oltre la musica da classifica, oltre i social media e oltre a quello che tante etichette major e indipendenti vogliono proporci ogni giorno tramite le radio e le piattaforme…Capita quindi che in questo assolato e caldissimo Luglio, nel mentre che preparo la valigia per un viaggio che mi porterà a Roma, mi arriva la mail del mio caporedattore che mi chiede la recensione di un progetto tutto italiano dal nome ARTHUAN REBIS, incuriosito, leggo le note biografiche nel mentre che aspetto il taxi che mi porterà alla stazione ferroviaria.
Artista totale, compositore, polistrumentista, arpista, scrittore, operatore sonoro, concertista internazionale, dottore in musica…uno di quelle personalità che davvero pullulavano fino a 30 anni fa e che ora ormai stanno diventando rarissime nel panorama Italiano, così colmo di non-talenti non-scoperti in Talent e presunti artisti che al posto di esprimere dei Concetti artistici, confondono l’espressività con la fama televisiva…
Riesco a caricare l’album per l’ascolto audio nel mentre che aspetto la partenza del FrecciaRossa per Roma, la wi-fi da sempre una mano in queste situazioni…
L’album del nostro Artuan è composto da 9 pezzi a cavallo tra il folk prog e la musica celtica…ma come ho sempre sostenuto, le etichette di genere servono solo agli addetti ai lavori per spiegare un qualcosa che non andrebbe spiegato. Dell’Arte bisognerebbe solo usufruirne in modo consapevole avendo le basi necessarie, basi che non devono essere spiegate dall’artista stesso, ma frutto della ricerca personale di ogni essere umano. “Si vede ciò che si conosce”.
E in quest’ottica dove le delimitazioni scompaiono appena cliccato play (termine anglosassone quanto mai azzeccato) ci ritroviamo in una dimensione completamente diversa da quella frenetica e piena di vicissitudini di tutti i giorni. Il titolo dell’album è quanto mai esplicativo: Sacret Woods. Un tributo musicale pagano alle sensazioni e alle forze della natura, inteso come Madre Natura.
Una delle cose davvero notevoli di questo platter è la presenza del mio amatissimo Paolo Toffani, compositore universale che con la più grande band italiana di sempre, gli Area, ha fissato lo zenith del prog italiano.
I pezzi del disco sono dei piccoli mondi a sé…dalla bellissima Albero Sacro, dove ritmi tribali e sonorità eteree ci introducono al mondo degli elementi sensoriali. Danzatrice del Cielo dove gli arrangiamenti dei cori e delle melodie ricercano strutture mai banali, mai semplici, dove i canti e contro-canti si alternano a bellissimi frangenti di arpa e strumenti a corda praticamente ormai quasi inutilizzati, se non da popolazioni lontane o attenti ricercatori come Artuan. Davvero delicata e piena di profondità: Come Foglie Sospese, dove il cantato in italiano porta quella componente poetica che aggiunge sostanza alla forma che si apre all’espressione musicale come mezzo per attraversare gli animi e la mente delle persone. E come non poter citare la crepuscolare e tribale: Runar…potente come un rito sciamanico nel momento dell’ora d’oro al calar del sole.
La produzione del disco è strettamente legata alla tipologia delle proposta musicale, il mix è attento a mettere a fuoco gli interventi dei singoli strumenti e delle voci davvero arrangiate in modo ineccepibile e personale. Questo è un album che vive di una luce propria e fuori dal tempo, proprio perché esplora colori e sensazioni che accompagnano l’uomo fin dal Bereshit. Non necessita quindi di produzioni troppo artefatte e moderne in senso lato. Tutto è finalizzato alla fruizione cristallina del discorso musicale.
Sacret Woods è un album che ogni essere vivente dovrebbe ascoltare, per ritrovare quel senso di umanità che questo mondo occidentale sta tentando di uniformare e “robotizzare”.
Non posso che dare un ottimo voto a questo lavoro che ci da speranza per un mondo di musica fatta con intelligenza, ricerca, passione e tanto cuore.
Complimenti a ARTHUAN REBIS per questo piccolo gioiello di Musica Pura.
“Là dove nei viaggi moderni è il più spesso l’autore che parla, qui si direbbe che le cose, interrogate dal viaggiatore, parlino esse stesse nel proprio loro linguaggio.” Michel de Montaigne
Voto: 8/10
John Sanchez