“In un’opera d’arte la «forma» non può essere disgiunta dal «contenuto»: la disposizione delle linee e del colore, della luce e dell’ombra, dei volumi e dei piani, per quanto incantevole come spettacolo, dev’essere anche intesa come portatrice di un significato che va al di là del valore visivo.”
Erwin Panofsky, Il significato nelle arti visive. 1955.
Nel Maggio del 1999 alcuni ragazzini di un istituto tecnico di Parma salivano su un pullman in direzione Rimini…grazie alla passione per uno degli insegnati per la musica, si riuscì a portare una combriccola di sedicenni al Disma Music Show. Da pochissimo il sottoscritto aveva imbracciato la chitarra e stava cercando nella sua cameretta di emulare i riff e gli accordi dei suoi idoli: i Metallica, i Megadeth e tanti altri. Lungo il viaggio per quel Disma però nel mio fedele walkman Panasonic avevo una musicassetta con l’Omnidirectional disco “mostruoso” dell’americano Scott Mishoe, nella mia mente sì c’era la passione per il rock e il metal…ma anche una piccola predilezione per quello che allora alcuni magazine americani chiamavano il techo-flash o più semplicemente Shredding. All’epoca la casa madre di un’intero movimento era la Shrapnel Records, etichetta che pubblicò in quegli anni autentici capisaldi del genere…dal primo Micheal Lee Firkins (stupendo), al primo Darren Housholder (funambolico), Vinnie Moore (maestro unico e indiscusso), i due lavori ancora ineguagliati dei Cacophony e tanti altri. E questi titoli in realtà spaziavano alla fine degli anni ‘90 già da alcuni lustri…eh sì perché il genere in sé forse diventò un corpus unico in quanto genere proprio negli anni 80, quando andavano i dischi solisti dei chitarristi delle band hard rock e glam rock da classifica, quando nei vari negozi specializzati (al tempo non esisteva Youtube) si cercavano le cassette della REH video, VHS dove i grandi della chitarra insegnavano i loro trucchi…video più dimostrativi, che “Instructional”…ma tant’è che io li adoravo…e attendevo sempre il postino con le VHS di Brett Garsed, Alan Holdsworth o Ritchie Kotzen…ma andiamo avanti…Credo che la genesi pura, il bareshit (in ebraico) fu con l’affermarsi mondiale del più grande chitarrista rock di tutti tempi: Eddie Van Halen…talento che dopo Hendrix diventò un lume nella notte, un faro da diversi gigatoni che illuminò la via di ogni chitarrista rock che si reputa tale. (la sua scomparsa alcuni mesi fa è stato motivo per me di grande dolore). Tutto questo prologo omerico solo per spiegare che cosa e chi stiamo andando raccontare in questo articolo, cioè il secondo album in uscita per Red Cat Music dell’italiano Albert Marshall, dal titolo Beautiful Nightmare. Ottimo esempio come nel 2021 si riesca ancora a proporre musica con una certa freschezza di songwriting in un contesto che sembrava ormai essere un lontano ricordo. L’applicarsi di un chitarrista che accantonando, per un attimo, i suoi progetti con le rispettive band, si cimenta in un percorso solistico dove può dare libero sfogo alle sue reali capacità e il suo modo di esprimere un messaggio…che a tratti risulta un po’ fine a se stesso come la super-tecnica che si evince dal lavoro, ma che nel complesso ci porta in luce la personalità di Albert. Le nove tracce si snodano attraverso un uso sapiente delle tecniche chitarristiche (sweep-picking, alternate picking, hybrid picking, ottimi bending – che delizia sentire dei bending intonati al giorno d’oggi – passaggi in legato davvero fluidi che danno molta espressività ai pezzi). Belli i passaggi quasi funky groove alla Al Mckay come nel pezzo Ugly Motherfucker, interessanti le armonie e i soli in Armored Warfare con quel suono bello Metal e lo shred alla Joe Stump. Piacevole e solare Mogway Song dove sento un bel mood blues, belle le pentatoniche portate in ambiente rock, un po’ alla Vinne Moore e Steve Lukather. Spumeggiante Angry Monkey che mi ricorda un po’ la dinamicità e lo stile di Lee Firkins.
Peccato per la produzione che rende sì pregio ed esalta la parte chitarristica, ma da un altro punto di vista viene un po’ penalizzata dalla scelta di affidare la batteria a una drum machine e un basso un po’ troppo relegato nella sua funzione di “ossatura” ritmica. Con questo non voglio dire che ogni disco solista che si rispetti debba avere Deen Castronovo e Stu Hamm, ma un po’ di più “naturalità” al disco non avrebbe fatto male. In definitiva il nostro Albert Marshall forse non scrive un nuovo Omnidirectional o un Passion And Warfare, ma in questo fresco giugno 2021 pubblica un’opera che deve molto ai grandi patriarchi del genere Solistico, ma lo fa con un suo stile e una sua personalità, dote ormai abbastanza rara oggigiorno, e soprattutto ci consegna 9 tracce che rimangono “musicali”. Al giorno d’oggi lo shredding puro si sta spostando su lidi iper-tecnici abbastanza, per chi scrive, incomprensibili…dove le famose “verticali sui mignoli” sono diventate le semplici anticamere di ricerche sonore che stanno virando a una poliritmia prolissa e troppo meccanica. Il tutto sta mutando in lidi molto poco musicali e troppo “matematici” nella sua accezione negativa e non Bach-iana. Quindi grande merito ad Albert Marshall per averci proposto delle belle Melodie e non dei riff da “manuale degli Shred in 24 ore di Troy Stetina”. In conclusione che ben vengano lavori come questo, che fanno ben sperare al mondo della Chitarra Italiana e non solo.
“La voce umana non potrà mai raggiungere la distanza coperta dalla sottile voce della coscienza” Mahatma Gandhi
Voto: 7/10
John “Diezel” Sanchez