Aendriu è il nome del nuovo side project di Endriu, chitarrista dei Punkreas, alle prese con una nuova uscita discografica intitolata “La Rabbia Che Ho Dentro”, un crossover tra punk e metal d’impatto. Abbiamo approfondito l’uscita di questo album e la nascita di questo progetto in questa intervista esclusiva.
Qual è stata la principale fonte di ispirazione per il tuo nuovo album solista, ‘La Rabbia Che Ho Dentro’, e come hai gestito il processo creativo durante il periodo tumultuoso della pandemia?
Spesso la mia vena compositiva e creativa è più attiva e stimolata nei momenti difficili che in quelli positivi dove, tendenzialmente, tendo a godermi la vita. Un po’ come se fosse una valvola di sfogo, e certamente lo è. Quello della pandemia è stato un periodo sicuramente difficile per tutti, per noi del mondo dello spettacolo in particolare e questo, possiamo dire, ha acceso la mia creatività come un fiammifero. Ho attinto a quella rabbia a piene mani per comporre questo disco anche se, come si evince chiaramente dai testi, non ho mai parlato di quel preciso momento nelle mie canzoni ma è stato invece solo uno stimolo per parlare d’altro. Il processo creativo è stato stranamente, semplice e scorrevole. Sicuramente ha contributo il fatto di avere, per la prima volta nella mia vita adulta, un sacco di tempo libero a disposizione. Non ci sono per niente abituato e, almeno quell’aspetto della situazione, mi è piaciuto molto. Così l’ho sfruttato.
L’album vanta la partecipazione di vari musicisti ospiti, tra cui membri dei Modena City Ramblers. Come è nata questa collaborazione e in che modo ha arricchito il suono complessivo dell’album?
E’ nata in maniera molto spontanea, sia quella con i Modena che quella con Piri. Non ho voluto pormi nessun limite sonoro nella realizzazione dell’album e così quando è nata “La ballata del ratto”, che sicuramente esce un po’ dalla mia zona di comfort, ho pensato immediatamente di coinvolgere i Modena. Chi meglio di loro che sono maestri nel genere? Da buoni amici hanno aderito subito con grande entusiasmo e non potevo chiedere di più. Nella stessa identica maniera è andata con Piri quando ho sentito il bisogno di mettere una tromba in “Ombra”. Non sarebbe stato possibile per me suonare strumenti come la tromba, il violino, l’hammond o il rhodes. Scrivere le parti è un conto, saperle suonare un altro e usare virtual instruments non è mai stata un’opzione, quindi ho percorso la via più naturale e credo che questo abbia influito non poco nel sound del disco e nella sua varietà.
In ‘La Rabbia Che Ho Dentro’, si avverte una forte energia ribelle e un suono radicato nelle tradizioni punk e metal.
Come hai bilanciato queste influenze con la tua esigenza di esplorare nuovi territori musicali?
Sicuramente il metal ed il punk sono sempre state le due colonne portanti della mia vita e della mia musica, per quanto non le uniche. Per ovvi motivi ho la possibilità di cimentarmi quotidianamente con il punk mentre era un po’ di tempo che non componevo sonorità più metal dato che nei Punkreas non troverebbero, giustamente, spazio. Il metal è però stato il mio primo amore ed ho fatto parte di gruppi che avevano quella sonorità tra le loro frecce per molti anni. Così ho voluto fare un po’ questo ritorno alle origini. In realtà è stato tutto molto spontaneo, senza grandi ragionamenti dietro. Ho semplicemente suonato e composto quello che mi veniva naturale. Essendo passati oltre 10 anni dal mio ultimo disco senza i Punkreas (Here on my feet dei Knowing2Fly), sono ovviamente, anche cambiato e maturato ed ho voluto fare un ritorno a quel sound un po’ meticcio e un po’ crossover, ma anche provare qualcosa di nuovo e credo che le varie “Ares”, “La ballata del ratto” e “Poi torno” lo dimostrino. Per quanto riguarda l’energia ribelle è sempre stata una dei combustibili delle mie composizioni, che sia nella musica o nei testi. Senza non credo riuscirei a comporre, è lei che alimenta il mio motore.
Uno dei singoli dell’album, ‘Quello che non c’è’, sembra riflettere una profonda ricerca interiore. C’è un brano in particolare che senti rappresenti al meglio il messaggio e lo spirito dell’intero album?
Quello che non c’è è indubbiamente il brano più personale del disco e sicuramente rispecchia bene il mio momento interiore in quella fase della mia vita. La voglia di lasciarsi alcune situazioni alle spalle e andare avanti, proseguire il proprio percorso senza restare statici in eterno ad aspettare qualcosa che, probabilmente, non avverrà mai. Quello che non c’è, appunto. Credo che ci sia una discreta eterogeneità nei brani che compongono “La rabbia che ho dentro” ma credo che ci sia anche un filo che li collega tutti e che crea lo spirito dell’album, e credo che sia anche un percorso coerente con il mio passato e la mia storia. Sicuramente la canzone a cui mi sento più legato, perché è quella che ha dato la scintilla da cui è nato tutto è “Io non voglio diventare come loro”. Non a caso l’ho scelta per aprire l’album ed ho voluto mettere la voce di mia figlia che gioca con il microfono come introduzione. Credo che sia una buona sintesi della rabbia e del messaggio che ho voluto comunicare con questo mio lavoro.
Con il tuo nuovo progetto solista, hai scelto di aggiungere una ‘A’ davanti al tuo nome, diventando ‘Aendriu’. Questo ha un significato più profondo o è semplicemente un dettaglio stilistico? In che modo questo alter ego artistico si distingue dalla tua identità con i Punkreas?
Ci tengo a ribadire che Ændriu è un progetto genuino, nato da un esigenza comunicativa che sentivo, e gestito, passo dopo passo, senza pianificare a lungo termine. Questo non vuol dire che non avrà una sua storia o un seguito, non lo so neanche io. Ho voluto quindi distinguere me, Endriu, dal progetto, Ændriu, per dargli una sua vita propria, così che possa percorrere la sua strada liberamente.
Il processo di registrazione dell’album è stato principalmente gestito nel tuo home studio. Quali sono i vantaggi e le sfide di registrare in un ambiente domestico, e come ha influenzato il risultato finale del tuo lavoro?
E’ nato tutto per necessità, dato che il periodo di cui stiamo parlando è quello delle zone rosse, del coprifuoco e della scarsa reperibilità di prodotti. Prevedendo uno stop lungo, quantomeno del mio settore, ho deciso di ripristinare la vecchia sala prove che ho sempre avuto nel mio garage, oramai diventata un magazzino. L’ho messa a posto, allestito un piccolo home studio con tutto quello che avevo a disposizione, e iniziato a registrare le idee ed i provini.
Poi, un po’ perché siamo ripiombati nelle zone rosse, un po’ perché ci avevo preso gusto ho proseguito così e, dovendo e volendo registrare quasi tutto io, volevo prendermi i miei tempi e registrare come e quando mi pareva e non dovendo rispettare i tempi di uno studio di registrazione. Così come il dover interagire con un produttore. Mai passato per la testa. Volevo regalarmi qualcosa di totalmente mio, per me stesso, ben consapevole dei limiti che avrebbe potuto avere. Non ho neanche comprato particolare strumentazione, quando avrei potuto. Volevo tornare a quello spirito adolescenziale di quando, negli anni ‘90, registravo decine e decine di band in quelle stesse quattro mura, con quel poco che avevamo a disposizione.
Sicuramente tutto questo ha avuto dei grossi vantaggi, come il poter registrare con i miei tempi e nei momenti in cui avevo tempo. D’altro canto è stato anche complicato l’essere sempre a casa e distinguere il lavoro dalla famiglia ma soprattutto il lavorare con materiale da studio di qualità molto inferiore a quella con cui sono abituato a lavorare di solito. Quello con cui solitamente faccio prove e provini per intenderci. Ho voluto però proseguire su questa strada convinto che lo spirito e il concetto dietro questo lavoro avrebbero preso il sopravvento. Sono soddisfatto così.
Quali strumenti e attrezzature hai utilizzato per catturare il sound distintivo punk/metal presente in ‘La Rabbia Che Ho Dentro’?
Ho usato buona parte del mio arsenale di chitarre utilizzando due diverse Gibson Les Paul Classic, una del ‘92 e una invece nuova, una LTD EC-1000 piezo, un’Ibanez S-Classic, mentre con la mia classica Gibson Explorer ho fatto buona parte delle ritmiche. Per le acustiche ho usato una vecchia Ibanez degli anni ‘80 con pick up da buca Fishman.
Come bassi ho alternato un Fender Precision, un Warwick con pick up EMG attivi e un bellissimo basso fatto da Grasse Liuterie Lambratesi.
La batteria suonata da Marco Ruggiero era invece una Tama Starclassic in Betulla con piatti Zildjian, Sabian e Turkish. Questa è stata registrata interamente da Marco, sempre in home studio.
Ho registrato tutto in di box facendo in seguito i reamp, per i quali ho usato la mia fedele Mesa Boogie Dual Rectifier alternata o affiancata, occasionalmente, da una Victory V130 the super countess.
Il basso invece è stato registrato in di box e poi amplificato con una Darkglass 900v2
Ho registrato tutto con Cubase Elements tramite una scheda Focusrite Scarlett 18i20 e un preamplificatore TL- Audio Ivory 5050, utilizzando vari microfoni Rode, Audio Technica, Shure e Sennheiser per le riprese.
Ben consapevole dei limiti e soprattutto della carenza di processori e ambienti ho cercato di lavorare per mantenere un suono grezzo e tagliente che poi, in fondo, è quello che mi ha fatto innamorare della musica punk e metal ben prima delle super produzioni di oggi; perfette ma che poi, spesso, finiscono per assomigliarsi tutte.
Un suono diretto e sfrontato, consapevole dei propri limiti ma anche orgoglioso di rappresentare in maniera nitida il periodo che il disco racconta e le emozioni che lo hanno attraversato.